XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A
Il Vangelo di oggi termina con una frase che ha segnato la storia: con questo versetto sono stati spiegati insieme la separazione tra il potere temporale e spirituale, il connubio tra trono e altare, i doveri del cittadino nel concorrere alla spesa pubblica, il diritto al rifiuto d’obbedienza alle autorità civili quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, gli scandali finanziari dal Vaticano alle singole diocesi.
C’è da pensare che anche in futuro, per il tempo che ancora il Signore vorrà donarci, sarà complicato definire il confine tra il riferimento illuminante alla Parola e la sua strumentalizzazione nelle questioni che riguarderanno nuovamente Dio e mammona.
Da parte dei farisei non si vede sincera volontà di sapere, ma – come specifica l’autore sacro – di tendere un tranello per eliminare Gesù. Come il Maestro manda all’aria il piano degli avversari con una risposta che taglia il nodo e sposta l’attenzione a un livello più profondo, così a noi interessa di più considerare che siamo arrivati agli ultimi capitoli di San Matteo e si avvicina sempre di più il Calvario: il contesto è quello degli ultimi giorni di Gesù a Gerusalemme.
L’episodio intorno all’immagine e all’iscrizione su un pezzo di metallo introducono al progetto salvifico per «rendere» all’uomo l’identità di figlio creato a immagine e somiglianza di Dio e per rinnovare la certezza che i nostri nomi sono scritti sul libro della vita. Abbiamo accolto i brani di questa domenica con una dolcissima immagine regalata dai riti di introduzione: i nostri nomi sono nel palmo della mano di Dio, quella che ha afferrato addirittura Ciro, altri personaggi biblici, numerosi testimoni del cristianesimo.
L’inganno e le calunnie degli oppositori di Gesù sono la realizzazione storica di come il Figlio di Dio si consegni alla morte per i nostri peccati, affinché l’uomo recuperi un’appartenenza perduta e che da solo non può riconquistare. Un amore forte e vero capace di dare la vita come il pastore, che porta il servo sofferente a rinunciare all’apparenza e alla bellezza, che non considera un tesoro geloso l’uguaglianza con Dio per spogliarsi e divenire simili a noi affinché noi ritorniamo all’immagine divina.
No, non è vero che non guarda in faccia a nessuno; anzi, fissa lo sguardo come nei confronti del tale stregato dalle sue ricchezze. Al Signore interessa il volto di ognuno, perché si possa ritrovare in esso quello del Creatore. Giunge l’ora in cui il Cristo paga il debito che noi non riusciamo a estinguere, rende a Dio quello che doveva essere il nostro tributo e rende a noi una dignità perduta. Questa è l’unica e perfetta regalità che supera ogni governo, ogni autorità; una signoria universale anche su Cesare, su coloro i quali non avrebbero alcun potere se non fosse stato concesso dall’alto.
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