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Il caso Galileo
NEWS 29 Novembre 2017    

Il caso Galileo

di  Mons. Luigi  NEGRI

È il cavallo di battaglia di tanta pubblicistica anticattolica. Utilizzato per bollare la Chiesa come nemica della scienza. Ecco perché è importante tornare a parlarne.
Dicendo la verità su come si svolsero i fatti

Si è concluso non da molto l’anno galileiano e non sono mancate pubblicazioni e articoli che hanno trattato del cosiddetto “caso Galileo”. Allora perché interrogarsi ancora sulla vicenda galileiana? Sono almeno due i livelli per cui è importante occuparsene.
Sicuramente ricostruire da un punto di vista storico, al di là di tutte le interpretazioni ideologiche e di tutti i pregiudizi, la dialettica tra Galileo e la Chiesa del suo tempo è importante per chiarire che la Chiesa “non è mai stata” e “non è”, come vorrebbe certa storiografia laicista, contro la scienza. Il cosiddetto “caso Galileo”, come ha avuto modo di precisare l’allora card. Ratzinger, «ancora poco considerato nel XVII secolo, viene – già nel secolo successivo – elevato a mito dell’illuminismo». Secondo tale prospettiva, continuava lo stesso card. Ratzinger, «Galileo appare come vittima di quell’oscurantismo medievale che permane nella Chiesa. […] Da una parte troviamo l’Inquisizione: il potere che incarna la superstizione, l’avversario della libertà e della conoscenza. Dall’altra la scienza della natura, rappresentata da Galileo». Una puntuale ricostruzione storica ha dimostrato ormai con chiarezza che l’obiezione della Chiesa al copernicanesimo di Galileo derivava dal fatto che si affermavano come teorie scientificamente dimostrate delle ipotesi che in realtà avevano ancora bisogno di ulteriori sviluppi e giustificazioni. Le parole di Bellarmino, scritte al padre carmelitano Foscarini, non lasciano adito a dubbi: «quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro del mondo e la terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole, allora bisogna ria andar con molta circospezione in esplicitare le Scritture che paiono contrarie e più tosto dire che non l’intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra».
Inoltre, la preoccupazione della Chiesa era di natura pastorale, ciò che la muoveva non era la volontà di difendere Tolomeo contro Copernico, quanto di evitare che attraverso la divulgazione di teorie non ancora dimostrate si favorisse la libera interpretazione delle Scritture secondo il modello protestante, aprendo inevitabilmente a quella prospettiva soggettivistica e individualistica della fede introdotta da Lutero. Solo se si tiene conto del difficile e drammatico momento storico in cui ci si trovava, si può comprendere una certa rigidità con cui la Chiesa si è posta nel difendere l’interpretazione di alcuni passi delle Scritture, in cui si faceva riferimento al movimento del sole, commettendo l’errore di suffragare la teoria tolemaica con tali passi. Tuttavia ciò che interessava veramente alla Chiesa era difendere la fede del popolo, evitare cioè che in una situazione così delicata un dibattito ancora aperto investisse scriteriatamente il popolo. Con questo non si vuol dire che l’atteggiamento della Chiesa del tempo sia stato esente da errori, ma che la questione in gioco sia più complessa di quanto evidenziato da quelle ricostruzioni parziali che denigrano la Chiesa come oscurantista.
Per questo motivo Giovanni Paolo II ha precisato che il “caso Galileo” può essere visto come «una tragica reciproca incomprensione» che erroneamente «è stata interpretata come il riflesso di un’opposizione costitutiva tra scienza e fede» (Giovanni Paolo II, Discorso all’Accademia delle Scienze, 31 ottobre 1992).
Il secondo livello, forse ancora più urgente da recuperare, è quello del carattere profetico inscritto nella vicenda galileiana. In essa possiamo dire che incomincia a farsi strada quella concezione di ragione che negli ultimi tre secoli si è dimostrata essere dominante: una ragione razionalistica che finalizza la conoscenza della realtà alla manipolazione tecnologica della stessa realtà.
Galileo, nel tentativo assolutamente legittimo e positivo di fondare un sapere scientifico su basi metodologiche nuove, si è però dimostrato troppo sbrigativo nel liberarsi delle cosiddette “qualità secondarie”, affermando non solo che gli unici aspetti che si potevano conoscere fossero gli aspetti quantitativi, ma addirittura che fossero gli unici presenti effettivamente nella realtà percepita. Rinunciare alle qualità secondarie significava considerare privo di senso qualsiasi discorso intorno alla natura propria di ciascuna realtà, significava ritenere «impresa non meno impossibile e per fatica non men vana» «il tentar l’essenza».
Si può, pertanto, affermare che nella vicenda galileiana si apriva una questione estremamente delicata: la concezione di scienza, a cui introduceva il galileismo (non Galileo in quanto tale), successivamente sviluppata dall’illuminismo e dal positivismo, rischiava di ridurre la ragione al tecno-scientismo e di affermare un potere assoluto su tutto, compreso sull’uomo.
Oggi questo rischio è più che mai presente, come Benedetto XVI ha sottolineato nella sua ultima enciclica: «Il processo di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica, divenuta essa stessa un potere ideologico, che esporrebbe l’umanità al rischio di trovarsi rinchiusa dentro un a priori dal quale non potrebbe uscire per incontrare l’essere e la verità. In tal caso, noi tutti conosceremmo, valuteremmo e decideremmo le situazioni della nostra vita dall’interno di un orizzonte culturale tecnocratico, a cui apparterremmo strutturalmente, senza mai poter trovare un senso che non sia da noi prodotto. Questa visione rende oggi così forte la mentalità tecnicistica da far coincidere il vero con il fattibile. Ma quando l’unico criterio della verità è l’efficienza e l’utilità, lo sviluppo viene automaticamente negato».
Ovviamente, questo non significa non volere riconoscere che, proprio grazie a Galileo, sia nata la scienza moderna, rivelatasi per la storia dell’umanità una delle più straordinarie possibilità positive. Le scoperte scientifiche e tecnologiche che si sono susseguite dal 1600 ad oggi hanno contribuito certamente a migliorare la vita degli uomini.
Tuttavia, occorre tenere presente come, allo stesso tempo, sia nata e si sia sviluppata una concezione di scienza che, invece di favorire la piena realizzazione dell’uomo, si è ritorta contro lo stesso uomo, pretendendo, ad esempio, di dominare la vita dalla sua origine (eugenetica) alla sua fine (eutanasia). L’uomo rischia così di essere ridotto a mero oggetto, venendo trattato come realtà senza anima, senza quella dignità assoluta e senza quella libertà che caratterizzano ontologicamente la persona.
È sempre più urgente che la scienza non sia vissuta come un potere assoluto e riconosca, invece, che esiste un orizzonte di senso e di valore più grande entro cui è chiamata a muoversi. È proprio questo orizzonte più grande che la Chiesa ha cercato di difendere nella vicenda di Galileo, secondo una preoccupazione di cui oggi si può cogliere ancora più chiaramente il senso. Una scienza senza l’idea di un destino buono dell’uomo da servire finisce inevitabilmente per essere padrona dell’uomo, generando così una forma radicale di schiavitù senza precedenti, come ha denunciato anche Guardini: «chi guarda attentamente, scopre nella vita delle democrazie, così apparentemente libera, i sintomi più preoccupanti di una coercizione indiretta che si esercita attraverso l’apparato della cultura tecnologica».
Proprio per questo, se si vuole uscire dalle strettoie imposte dalla mentalità razionalistico- scientista, diventa sempre più fondamentale e decisivo recuperare «il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione», come ha invitato a fare Benedetto XVI. Occorre non dimenticare che «una cultura meramente positivista, che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi» (Benedetto XVI, Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, 12 settembre 2008).

IL TIMONE – Giugno 2010 (pag. 26-27)