Un po’ di tempo fa, per qualche motivo, stavo combattendo silenziosamente con quel problema diabolico che è l’accidia.
“Combattendo” suona romantico e proattivo, e quindi sarebbe più giusto dire che mi lamentavo senza altra cosa se non un profondo vuoto nel cuore, nella mente e nell’anima.
È terribile capire che ci si sta addentrando in un vuoto che fa male. L’accidia è come una camera di riverberazione del “me” che rimbalza contro i muri e risuona fin quando nulla può attraversare lo spessore dell’essere.
È terribile gridare “Aiuto!” e sentirsi non ascoltati, non visti e così persi nei confronti di tutto se non quel vuoto tremendo e poroso da non poter percepire le risposte, quando queste sono tutte intorno a noi – nei salmi, nei suggerimenti preoccupati di familiari e amici che sanno che dire “Riprenditi” non aiuta davvero ma non riescono a pensare ad altro. Il mio caro marito prendeva i lillà ancora bagnati di rugiada dal giardino e li metteva sulla mia scrivania, ed è una cosa splendida, ma la sua gentilezza non faceva che farmi sentire peggio. Perché quando si è così vuoti è difficile dare qualsiasi cosa in cambio.
Alla fine ho iniziato a chiedere preghiere. “Accidia!”, gridavo. “Aiuto! Pregate per me!”
E chiunque diceva: “Ci sono passato! Pregherò per te!” Che Dio li benedica.
Quella notte sono andata a dormire pensando: “Beh, se sono qui, ci starò quanto Dio vuole. L’accidia passerà”.
Non mi era di grande conforto, ma meglio di niente.
Il giorno dopo ho avuto l’occasione di trascorrere una decina di minuti a chiacchierare con Brian Patrick al Son Rise Morning Show su San Benedetto da Norcia e la sua Regola. Ho menzionato il consiglio di Benedetto di affrontare i “cattivi pensieri” – siano essi peccaminosi o di disperazione o idolatria. Benedetto sapeva che tutto ciò inizia nella mente, e quindi ha prescritto un esercizio mentale molto utile: quando arrivano i “cattivi pensieri”, diceva, bisogna “spezzarli” in Cristo, sulla sua croce.
Ho ripreso questo suggerimento nel mio libro:
Nella sua Regola, San Benedetto da Norcia dice ai suoi monaci che quando sorgono cattivi pensieri devono essere spezzati in Cristo, immediatamente. Sembra un’immagine giusta e di aiuto, e l’ho usata con grande efficacia. Immagino il crocifisso dopo la morte di Cristo, quando tutto è stato vinto, e vedo la mia mano che spezza il pensiero negativo contro il legno della croce. Il pensiero scompare, e io sono liberata dalla sua morsa. La mia rabbia o il mio pensiero iroso o egoista o irrazionale, avendo incontrato in quel momento la realtà costante di Cristo, se ne va immediatamente.
Tutto questo ha luogo nella mente, è vero, ma anche il mio peccato si stava formando nella mente, per cui la cosa è stata distrutta all’origine. È una salvezza in tempo reale all’interno del dialogo eterno.
Discutendo il brillante consiglio di Benedetto, ho capito che non avevo portato la mia accidia – radicata nell’idolatria del sé – alla croce e non le avevo assestato un bel colpo.
E allora l’ho fatto. Ho cercato la croce e ho immaginato di inchiodarci la mia tristezza e i miei fardelli, e alla fine ho scagliato tutto contro il legno della redenzione. E sono riuscita a respirare di nuovo.
Non dovrebbe essere curioso – so che funziona –, ma ogni volta che accolgo il consiglio del mio Santo Padre mi stupisco di quanto sia efficace.
Non posso dire che abbia eliminato al 100% la mia accidia, ma l’ha fortemente ridimensionata. Ed essendo stata liberata dal peso più grande, ho ricordato subito il consiglio di Santa Teresa d’Avila, che aveva un’unica parola contro l’accidia: “Salmodia! Salmodia, salmodia, salmodia!”
L’accidia aveva fatto presa su di me perché avevo fallito nei miei compiti, perdendomi l’applicazione simile a quella di un balsamo dei salmi alla mia vita quotidiana; sono tanto importanti perché in loro troviamo ogni giorno noi stessi e il mondo e capiamo che la nostra condizione è la condizione umana in tutta la sua debolezza. Il nostro mondo è quello di cui cantava Davide 5.000 anni fa. Non è cambiato niente, se non in superficie.
Schiacciarsi contro la croce e poi applicare i salmi, è questa la ricetta, la chimica, la prescrizione santa. Lo sapevo, lo so da anni, e tuttavia tutto quello che “sapevo” si è rivelato inutile fino a quando non sono riuscita ad aprire cuore, mente e spirito.
In uno dei salmi della preghiera mattutina ho trovato un’eccellente riflessione sulla mia ostinata opposizione, derivante dall’idolatria del mio servizio alle mie sventure e ai miei sentimenti, alla costante disponibilità di Dio nei miei confronti:
Un linguaggio mai inteso io sento:
“Ho liberato dal peso la sua spalla,
le sue mani hanno deposto la cesta.
Hai gridato a me nell’angoscia
e io ti ho liberato,
avvolto nella nube ti ho dato risposta,
ti ho messo alla prova alle acque di Meriba.
Ascolta, popolo mio, ti voglio ammonire;
Israele, se tu mi ascoltassi!
Non ci sia in mezzo a te un altro dio
e non prostrarti a un dio straniero.
Sono io il Signore tuo Dio,
che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto;
apri la tua bocca, la voglio riempire.
(dal Salmo 81)
La croce. La salmodia. E il buon consiglio di due grandi cristiani, Benedetto e Teresa, che dalla Comunione dei Santi mi distolgono da me stessa, dalla fossa pericolosa dell’ossessione di sé, verso la Luce di Cristo. Grazie a Dio per i nostri amici santi, e per i loro consigli per farci “riprendere”.
Deo gratias, e Amen.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]
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