di Nicola Bux
La “decostruzione del papato nella sua forma attuale” – come ha fatto notare Sandro Magister – è cara al priore di Bose, secondo cui non c’è più da sperare nell’unità tra le grandi Chiese tradizionali, in quanto la loro divisione su chi abbia il primato sarebbe proprio ciò che impedisce l’unità dei cristiani oggi:
“Nell’Evangelo c’è scritto che i discepoli incominciarono a litigare per sapere chi fosse il primo. Mi sembra che questo litigio sia continuato nella storia della Chiesa e costituisca ancora uno dei nodi centrali della questione dell’unità. Si ignora che ogni tradizione è limitata e parziale e che solo tutti insieme è possibile giungere alla piena verità” (E. Bianchi, “Ricominciare”, Marietti, Genova, 1999, p 73-74).
In realtà, Gesù risolse la discussione pre-pasquale tra i discepoli stabilendo egli stesso il primato di Simone-Cefa.
Inoltre, chi è veramente cattolico sa che non esistono “Chiese tradizionali” ma l’unica Chiesa che quei cristiani autonomamente costituitisi in Chiese e comunità tra il primo e secondo millennio devono giungere a riconoscere presente nella tradizione apostolica condivisa con Roma e da lei suggellata.
Bianchi, quindi, dissimula un’idea relativista dell’unità della Chiesa; né nasconde di condividere la visione di Jean-Marie Tillard, secondo cui la Chiesa è fatta solo dall’insieme di “Chiese sorelle”. Per evidenziare l’erroneità di tale concetto, la congregazione per la dottrina della fede ha emesso il 30 giugno 2000 una nota:
Nota sull'espressione Chiese sorelle
Inoltre, Bianchi invoca il fatto che il papa non debba decidere nulla da solo, ma poi vorrebbe attribuire a lui il potere “di ridare unità alla Chiesa” (”Ricominciare”, pp. 72-73).
Invece, il teologo ecumenico Max Thurian ha descritto così le conseguenze ecumeniche del Credo comune alle confessioni cristiane:
“L’unità visibile dei cristiani non potrà esser compiuta che nel riconoscimento delle celebrazioni eucaristiche e dei ministeri che strutturano la Chiesa, nella successione apostolica e in comunione col vescovo di Roma. […] Per la Chiesa cattolica, la pienezza dell’apostolicità si trova nella successione dei vescovi dopo gli apostoli e nella loro comunione grazie al ministero di Pietro proseguito dal vescovo di Roma”(”Avvenire”, 29 giugno 1997).
Per Bianchi, al contrario, il riconoscimento del primato papale è il reale impedimento all’unità della Chiesa.
Non so se papa Francesco conosceva tutto questo, quando lo scorso 22 luglio ha nominato il priore di Bose consultore del dicastero ecumenico della Santa Sede.
Le idee di Enzo Bianchi esprimono quell’“ermeneutica della discontinuità e della rottura” che costituisce il filo rosso dell’edizione bolognese, in più volumi, dei “Conciliorum oecumenicorum generaliumque decreta”, sulla quale a detta delle autorità vaticane “permangono le riserve di carattere dottrinale”.
A questo, l’arcivescovo Agostino Marchetto ha puntualmente e in modo documentato fatto il contrappunto. E il papa lo ha definito “il miglior interprete del concilio Vaticano II”.
Dunque, non dovrebbero esservi dubbi su chi non la conta giusta.
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