XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A
«Sono forse io il custode di mio fratello?». La domanda di Caino, nel vigliacco tentativo di nascondere il suo misfatto, ci aiuta a comprendere quanto il Signore oggi ci chiede. Egli infatti è il primogenito e il fratello maggiore della famiglia umana: doveva prendersi cura del minore Abele e invece, travolto dal peccato cui aveva dato spazio nel suo cuore, lo annienta. Il Signore stesso lo aveva posto come custode e guida del fratello: tutti abbiamo un fratello, o molti fratelli, che la Provvidenza ci ha assegnato per ammonirci e guidarci a compiere la volontà divina.
Noi stessi siamo stati posti a sentinella, come dice il profeta Ezechiele, per mettere in guardia il nostro fratello e allontanarlo dal male che conduce alla morte. Non siamo stati creati per ‘rispettare’ l’altro nel senso di abbandonarlo a se stesso e ai suoi istinti, ma per essere ‘profeti’ per lui: «tu dovrai avvertirlo da parte mia». Questo comando del Signore ci sprona a comprendere più profondamente chi siamo e soprattutto che noi esistiamo perché ci sono della relazioni che interrogano e chiamano in causa la nostra libertà. Gesù nel Vangelo fa leva su questo: «Se uno pecca contro di te…». Il legame che si crea fra la vittima e l’aggressore, fra me e colui che mi fa del male, può essere vissuto nella carità: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».
La più grande carità è il perdono: esso non è indifferenza rispetto al male commesso, ma proposta di una vita nuova. E il Signore descrive in modo particolareggiato il protocollo da seguire per amare il fratello che ha peccato contro di me: ammonizione personale, rimprovero pubblico e, come extrema ratio, scomunica. Ognuna di queste azioni è un gesto di carità e di volontà di bene verso l’altro. Anche l’allontanamento del fratello dalla comunione con me e con la comunità – «sia per te come il pagano e il pubblicano» – non è un gesto di rinuncia o di vendetta, bensì una parola estrema rivolta a colui che non vuole accogliere la verità: ritorna fratello alla tua pace, ritorna al Signore che ti ha creato e ti vuole libero di amare e di rinnovare la tua esistenza secondo verità.
Capiamo da queste parole che la più grande carità, il gesto più squisito di rispetto è la verità: la verità, che ci rende liberi, deve essere detta e offerta da noi agli altri e deve essere accolta nella nostra esistenza con gratitudine e coraggio. Siamo stati creati per ‘attendere’ gli uni agli altri, per ‘custodirci’, vegliarci e soprattutto raccoglierci insieme per chiedere che la presenza di Cristo in mezzo a noi ci rinnovi e ci renda veri figli del Padre che è nei cieli.
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