Ieri pomeriggio nella basilica di San Pietro è accaduto qualcosa di storico: circa la Consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato sono state eseguite le volontà della Vergine rivelate a suor Lucia di Fatima. La tre condizioni erano queste: che la Consacrazione fosse pronunciata dal Papa, che fosse fatta in unione con tutti i vescovi del mondo, che la Russia fosse esplicitamente nominata. In 80 anni, da quando nel 1942 per la prima volta Pio XII fece una prima preghiera di questo tipo, tutte e tre le condizioni insieme non erano mai state adempiute. A detta della maggioranza dei vaticanisti è stata la prima volta nella storia. Per le leggi Celesti – lontanissime da quelle del mondo – è qualcosa che va registrato.
La Consacrazione della Russia (e dell’Ucraina) al Cuore Immacolato di Maria rimane però un gesto di fede, non un rituale magico, non un banale abracadabra in grado di chiudere una guerra d’emblée. La collaborazione dell’uomo è indispensabile. Non è un caso che Papa Francesco abbia scelto di pronunciare la Consacrazione esattamente nel giorno della memoria liturgica dell’Annunciazione, a ricordarci che è per mezzo di Maria e del suo “sì” che l’unica pace possibile è entrata nel mondo: Cristo stesso. Lo sottolinea da par suo anche don Luigi Epicoco: «La pagina dell’annunciazione che leggiamo nella liturgia è forse anche la chiave di lettura più bella di questo gesto (di Papa Francesco, ndr). L’angelo porta a Maria un annuncio di gioia, ma questa gioia ha bisogno di essere accolta, ha bisogno dell’Eccomi di Maria. È proprio attraverso di lei che Dio entra nella storia e la salvezza diviene un fatto». L’efficacia della preghiera che ieri il Papa ha alzato al Cielo (e che è stata trasmessa in diretta tv con ascolti altissimi) dipende, dunque, anche dalla nostra partecipazione interiore, dalla nostra predisposizione d’animo. Lo chiariscono bene i verbi “ricorrere” e “bussare” di uno dei passaggi più toccanti della preghiera del Papa: «Ricorriamo dunque a te, bussiamo alla porta del tuo Cuore noi, i tuoi cari figli che in ogni tempo non ti stanchi di visitare e invitare alla conversione. In quest’ora buia vieni a soccorrerci e consolarci. Ripeti a ciascuno di noi: “Non sono forse qui io, che sono tua Madre?».
Non è irrilevante che gli unici che non hanno capito il senso dell’atto papale, arrivando a cannoneggiare la Consacrazione al Cuore di Maria, sono stati due tra gli estremi esponenti dell’ala progressista e di quella tradizionalista: Enzo Bianchi e Andrea Cionci. Intervistato da Radiosound24, il fondatore della Comunità di Bose (fino a pochi mesi, va ricordato per amore di verità, gettonatissimo ospite di ogni diocesi italiana) ha affermato: «Questo gesto faccio difficoltà a capirlo […] perché teologicamente non ha un grande fondamento». Per poi aggiungere: «La cosa non sarà certamente gradita a tutte le chiese della riforma che pensavano che queste forme di devozioni che non appartengo alla grande tradizione cattolica».
Su quest’ultima accusa risulta interessante leggere una dotta Nota della diocesi di Macerata uscita in preparazione alla Consacrazione di Papa Francesco, nella quale si legge che «la formula probabilmente più antica di “consacrazione” rivolta a Maria Regina la troviamo già nell’VIII secolo», a firma di «San Giovanni Damasceno: “Ti consacriamo, o Sovrana nostra, mente, anima, corpo e tutto il nostro essere”». L’estensore della Nota ricorda poi che «nei casi di grandi calamità sociali (pestilenze, carestie e guerre) sorse fin dal medioevo una gara di Città e Comuni che “si offrivano” alla Vergine come loro Sovrana celeste, spesso presentandole le chiavi della Città in suggestive cerimonie». Infine, sempre circa forme di devozione che non apparterrebbero alla tradizione cattolica, la curia maceratese ricorda che già «nel secolo XVII iniziarono le grandi consacrazioni nazionali: la Francia nel 1638, il Portogallo nel 1644, l’Austria nel 1647, la Polonia nel 1656». Rimane il fatto che a Enzo Bianchi la preghiera di ieri del Pontefice «suscita turbamento».
Circa “l’ultra-tradizionalista” Andrea Cionci, basta e avanza il titolo dell’ultimo articolo della sua saga (lo si trova sul sito Roma.it perché forse anche per Libero, che solitamente accoglie le fantasiose ricostruzioni del giornalista, stavolta il limite era stato oltrepassato). Eccolo: «Ammiccamenti massonico-esoterici nella finta consacrazione dell’“anti” papa Bergoglio».
In uno scenario allarmante come quello che il mondo vive queste settimane, in cui il rischio è la stessa esistenza dell’Europa così come la conosciamo, Papa Francesco non rinuncia a declamare la forza del binomio fede-ragione, rifiutandosi di accettare – a costo di sembrare un eroe rimasto a combattere da solo – che per la pace poco o nulla si possa ancora fare. Da giorni, ad esempio, è tornato con decisione sul tema della spesa per armamenti. Ma è stato giovedì scorso, ricevendo in udienza il Centro femminile italiano, che parlando a braccio ha bandito ogni eufemismo riguardo quei Paesi, Italia compresa, che hanno deciso di aumentare le spese in armamenti (da 25 a 38 miliardi all’anno). «Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2 per cento del Pil […] nell’acquisto di armi come risposta a questo che sta accadendo adesso. La pazzia!». Questo il grido di Papa Francesco, quasi del tutto censurato dai giornali ormai militarizzati e a volte perfino irridenti («Francesco si è espresso contro l’acquisto di armi. Ma gli ucraini come si difendono, con i fiori?»”, così Il Foglio in un articolo non firmato).
I pochi che sembrano aver capito la gravità della situazione (spesso esponenti di quella sinistra storicamente pacifista e lontana dal PD: dal direttore del Riformista Pietro Sansonetti, al giornalista del Fatto Quotidiano Antonello Caporale), tenderanno purtroppo a rifiutare il vero punto della questione, che è tutto di natura spirituale. Ed è un peccato. Parlando di “vera pace”, nella toccante omelia di ieri il Papa ha ricordato al mondo che «abbiamo bisogno dell’amore di Dio, perché il nostro amore è precario e insufficiente». E ancora: «Tante cose domandiamo al Signore, ma spesso dimentichiamo di chiedergli ciò che è più importante e che Lui desidera darci: lo Spirito Santo, la forza per amare. Senza amore, infatti, che cosa offriremo al mondo?». Per chiudere poi con un’immagine semplice, domestica (e che sui social è stata subito messa in relazione ai cattolici con l’elmetto Letta e Draghi): «Qualcuno ha detto che un cristiano senza amore è come un ago che non cuce: punge, ferisce, ma se non cuce, se non tesse, se non unisce, non serve».
A due anni dalla Statio Orbis del marzo 2020 – la preghiera in cui Papa Francesco, solo, sotto una pioggia battente, ai piedi del Crocifisso di San Marcello al Corso, invocò Dio per la fine della pandemia –, il momento di Cielo che si è celebrato ieri pomeriggio davanti alla statua della Madonna di Fatima si avvia a diventare uno dei frangenti più alti del suo pontificato. Un pontificato che agli occhi del mondo, giorno dopo giorno, sta diventando sempre più autentico, sofferto, autorevole. Spirituale.
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