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Il punto non è essere felici, ma capire Chi può dare la felicità
NEWS 14 Gennaio 2024    di Samuele Pinna

Il punto non è essere felici, ma capire Chi può dare la felicità

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B

La ricerca della felicità è la costante della vita di ogni uomo, dove tutto il resto non è escluso ma marginale rispetto all’assunto principale. È simile a una nota che ritorna, come quella del Preludio op. 28, n. 15 di Fryderyk Chopin, detta “la goccia”, che continua a essere suonata in tutto il pezzo musicale, nonostante le variazioni sul tema. Si tratta di un solo segno sul pentagramma, eppure quando ce ne si accorge – fa notare don Luigi Giussani – non la si perde più, non può più sfuggire, resta una fissazione.

Fuor di metafora: qualunque realtà che si reputa indispensabile, da qualunque cosa uno sia attratto, al momento rende lieti, ma poi passa. C’è, invece, qualcosa che rimane intatto e inalterato: è il desiderio di sperimentare la gioia, che dal principio alla fine resta lo stesso nella sua profondità, nella sua semplicità assoluta e nel suo carattere univoco di dominio sugli attimi che scorrono. Se tale desiderio si può addirittura obliare, tuttavia si ripresenta come un’urgenza senza la quale una persona non può vivere: inizia e conclude il brano dell’esistenza.

Eppure, non basta ricercare la felicità per ottenerla, perché si deve scoprire cosa può appagare per davvero. È una questione di dove posare il proprio sguardo e, di conseguenza, porre il proprio interesse. Nel brano giovanneo, il testimone per eccellenza non ha paura di fissare lo sguardo su Gesù che passava. Giovanni il Battista sa che deve scomparire per lasciare il passo all’Agnello di Dio: non perderà, dunque, quei due discepoli che lo abbandoneranno per seguire il nuovo e definitivo Rabbì, ma li avrà guadagnati al Regno. La domanda di un Gesù inseguito, persino tallonato da vicino, pare tra le centrali di tutto il Vangelo: «che cosa cercate?» (Gv 1, 38) è, tra l’altro, la prima parola pronunciata dal Cristo. D’altro canto, «Chi cerchi?» (Gv 20, 15) sarà anche la prima parola detta dal Risorto a una addolorata Maria Maddalena.

Interrogativo, pertanto, che assume un significato rilevante, se non decisivo. In un altro momento topico, durante l’arresto, è ripetuto lo stesso quesito: «Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: “Chi cercate?”» (Gv 18, 4). Chi cerchi? Chi cerchiamo? Tale è la questione fondamentale, che si potrebbe rendere anche con: chi dà senso ai nostri giorni? Cosa vogliamo e desideriamo? Dove trovare il significato recondito di quanto accade? Nel momento in cui si risponde, impiegando tutte le nostre facoltà – passione, sentimenti, ragione –, si può intuire la strada da percorrere: cerchi il Figlio di Dio per arrestarlo, per farlo tacere, per annientarlo oppure per seguirlo, riconoscerlo, amarlo?

Venite e vedrete: ancora una questione di sguardi, di nuovo un fissare, ma questa volta è quello del Maestro a posarsi sul discepolo, su Simone, il figlio di Giovanni, chiamato Cefa, che significa Pietro. Quel vedrete comporta un movimento, l’andare dietro – venite – per essere fedeli seguaci in grado di alzare la testa in vista della contemplazione divina, sorgente della gioia. L’uomo – si è già osservato – è fatto per la felicità, cioè per conoscere la verità, per cercare il bene, per custodire la bellezza. Ciò vuol dire che la verità deve poter diventare forma dei rapporti, ossia il modo con cui si creano relazioni, mediante una misericordia esercitata quotidianamente e un voler il meglio per l’altro e per se stessi. È questo che dà pace all’interiorità dell’uomo: sentire la propria giornata utile nel tempo che passa e che edifica qualcosa di buono, così che si possa contribuire un poco ad arricchire ciò che ci circonda. Il problema non è, dunque, essere felici, ma trovare o riconoscere chi questa felicità la può offrire.

Il mondo è, de facto, incapace di soddisfare quanto alberga nelle più intime profondità. Ragionando sulla condizione di viatori, è innegabile – perché la coscienza non accetta una risposta negativa – la brama di una luce che illumini il cammino terreno. Ci deve essere. Se si ha il coraggio, è possibile scoprire che è dentro la natura delle cose quella possibilità di bene che rende gioioso l’esistere. La Gloria intesa come splendore della verità e appagamento di ogni anelito umano si riflette in un volto sofferente e trasfigurato. Il volto dell’Amore. E il cuore di chiunque può sussultare nella constatazione che in quell’esatto momento ha trovato il Messia.

 


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