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Il triestino Marcello labor: ebreo, scrittore, medico, marito, padre, sacerdote. E ora venerabile
NEWS 9 Giugno 2015    

Il triestino Marcello labor: ebreo, scrittore, medico, marito, padre, sacerdote. E ora venerabile

Tra i nuovi venerabili che sono stati annunciati sabato scorso, c’è anche la stupenda figura di Marcello Labor (1890-1954), poco conosciuta fuori dalla diocesi di Trieste. Di seguito un suo ritratto.

 

Marcello Labor nacque Marcello Loewy a Trieste nell'anno 1890. Il padre era un israelita ungherese, la madre triestina; nell'ambiente familiare vi erano agiatezza, cultura ed un'apertura cosmopolita favorita dai molteplici fattori che influenzarono il giovane Marcello. Trieste era allora parte dell'impero austro-ungarico, ma cultura e sentimenti erano italiani, e Marcello, benché non fosse ebreo praticante, era ben conscio della sua identità israelita. Carducci, simbolo di nazionalismo italiano, ed il filosofo Schopenhauer erano presenti contemporaneamente nell'animo di Marcello adolescente, fra i migliori allievi del liceo triestino "Dante Alighieri."

I movimenti letterari ed intellettuali dell'epoca erano vivi alla mente di Marcello negli anni di studio a Vienna ed a Graz. Studiava medicina, ma la letteratura rimase per lui un interesse costante e collaborò a varie riviste fra cui La Voce di Firenze. In quegli stessi anni Trotzki, a Vienna sotto altro nome, preparava la rivoluzione socialista e Marcello Labor divenne, almeno intellettualmente, un socialista. Come Franz Kafka, Loewy cercava le sue radici ebraiche. Alla fine scelse di cambiar nome, non per negare la sua identità ebraica, ma per affermare in un ambiente filogermanico i sentimenti di italianità che condivideva con gli amici Giani Stuparich e Scipio Slataper. Fu cosí che Marcello Loewy divenne Marcello Labor.

Quand'era ancora studente universitario, Marcello Labor pubblicò su La Voce un saggio in favore della castità prematrimoniale, e nei suoi diari fece riferimento al "privilegio della castità." Il suo atteggiamento, non motivato da scrupoli religiosi, corrispondeva – ma nella vita reale – ad idee che avevano preso corpo in figure ben note della letteratura tedesca: Adrian Leverkühn del Doktor Faustus, con il bruciante rifiuto del sesso prezzolato per poter darsi completamente alla musica, od alcuni personaggi dei drammi di Gerhart Hauptmann, preoccupati per l'ereditarietà e la salute dei loro bimbi ancora di là da venire.

Nel 1911 Labor si laureò in medicina e sposò Elsa Reiss nel Tempio israelitico a Trieste in via del Monte – l'erta ricordata nei versi di Umberto Saba. Poi venne la prima guerra mondiale e Marcello Labor fu ufficiale medico, prima in Croazia, poi sul fronte russo. La famigliola – poiché presto vennero i figli – ebbe molto a soffrire.

Con la fine della prima guerra mondiale vennero per la famiglia Labor, ora stabilitasi a Pola, il successo professionale e qualche anno di felicità. Marcello, che era allora socialista impegnato, si fece conoscere in città come il medico dei poveri, perché li curava gratuitamente. La fine di questo lieto intermezzo venne con l'inizio della malattia di Elsa. Da medico che era, Marcello sapeva che la scienza era impotente a salvare sua moglie. La assisté fino alla fine e rimase vedovo con due figli. In quegli anni di sofferenza Marcello Labor divenne lentamente cattolico praticante.

Fu una decisione estremamente riservata. La conversione non fu nulla di sensazionale, e men che meno basata su fattori emotivi. Marcello non era un sognatore: dalla sua esperienza di scienziato e di medico egli derivava il bisogno di provare e sperimentare; benché non credente, doveva provare – mettere alla prova – cosa fosse la preghiera. Lesse e pensò molto, e la conversione fu per lui una vera convergenza di interessi di tutta una vita, interessi che trovavano ora il loro centro in Dio, non un'idea astratta, ma il Messia promesso al Popolo Eletto. Da medico Marcello era stato testimone di molte umane sofferenze; ora poteva trovare un senso per quelle sofferenze nell'Uomo dei Dolori del profeta Isaia. Ora che aveva trovato Dio, Marcello Labor doveva portarlo agli altri. Man mano che i figli crescevano e lasciavano il nido, Marcello capí di voler essere prete.

Entrare in seminario a 48 anni d'età non è cosa di tutti i giorni, e Marcello Labor dovette affrontare molti ostacoli. Le parole che aveva scritto da studente "Resterò sempre ebreo" – rimasero vere. Anche prima dell'inizio della seconda guerra mondiale, sotto Mussolini, Labor si trovò isolato. Il seminario che dirigeva a Capodistria (il suo primo incarico da prete) era noto per l'atmosfera di libertà intellettuale nel regime fascista. Quando i tedeschi occuparono la Küstenland, Labor fu esiliato per motivi razziali. Più tardi fu incarcerato dai partigiani di Tito perché era un sacerdote cattolico.
Dopo la guerra Labor si stabiliì a Trieste, dove divenne parroco della cattedrale di San Giusto e più tardi rettore del seminario diocesano. La persecuzione aperta era cessata e Labor poteva lavorare incessantemente. Dalla sua esperienza professionale gli venivano cultura, signorilità, apertura e curiosità intellettuali che spiccavano in quell'ambiente parrocchiale: era il cigno fra le anatre, e di tanto in tanto le anatre schiamazzavano. Non vi dava alcuna importanza, perché la sua unica preoccupazione era portar anime a Dio. Quando sentì i sintomi del collasso cardiaco da lui prontamente (ed accuratamente) riconosciuto terminale, Labor ricevette gli ultimi sacramenti e passò le sue ultime ore congedandosi da ogni seminarista.