Il giornalismo e l’informazione da anni sono attraversati dalla evoluzione che i nuovi media, il web e i social su tutti, hanno imposto a tutto. Per un certo periodo di anni, diciamo dai primi del nuovo millennio, si pensava che solo il web avrebbe rappresentato il futuro dei giornali e dell’informazione, con il de profundis suonato soprattutto per la carta stampata.
Certo, la realtà è che le edicole chiudono a ritmi vertiginosi (benché, ricorda Giampiero Mughini, «l’esistenza delle edicole è talmente indispensabile al bene comune che durante il lockdown sono rimaste costantemente aperte»). Eppure anche la rete ha i suoi risvolti negativi.
Il primo è figlio del famigerato algoritmo, che senza margine di errore sceglie per noi le notizie in base alle nostre precedenti ricerche. Se a qualcuno interessa solo l’Inter, gli arriveranno solo notizie su Lukaku & C., forse un po’ poco anche per quella che Michele Serra ha chiamato la generazione degli “sdraiati”. Di iperconnessione, poi, ci si ammala sempre di più (vedere alla voce “Nomofobia’, cioè NO Mobile Phone PhoBIA, la condizione patologica di chi prova ansia solo all’idea di restare disconnesso).
Ma c’è altro. Recenti casi di cronaca, il fallimento del portale Vice, i tagli decisi da BuzzFeed, la chiusura di siti web anche di informazione religiosa, mostrano che non è tutto oro quello che luccica sull’informazione via rete. Il giornalismo solo on line fatica a sostenersi e l’avvento dell’Intelligenza artificiale complicherà ulteriormente le cose. I contenuti “tutto gratis”, con la speranza che la pubblicità on line (o i finanziatori) risolvano per sempre i problemi, non reggono più.
«La bolla dei media digitali è scoppiata», ha titolato The Guardian. «Il modello pubblicitario aveva profonde falle, non ultimo il fatto che il flusso di visitatori dei siti web poteva essere interrotto quando le principali reti di distribuzione del traffico – i colossi di Internet Google e Facebook – potevano in qualsiasi momento modificare i loro codici – algoritmi – e inviare ai clienti notizie di Internet altrove».
Il dato è chiaro: la corsa al click non basta e il l’informazione online che ha prosperato sul “tutto gratis” rischia l’eterogenesi dei fini più paradossale: muore per il “tutto gratis”. Come ha rilevato Rodolfo Casadei, giornalista di lungo corso, nel boom del digitale c’è anche una conseguenza poco considerata, di matrice profondamente politica. «L’homo digitalis si abitua a non mettere in discussione gli assetti della realtà: non fa le cose, le usa. Quindi di fatto l’homo digitalis collabora col sistema, non mette in discussione il sistema». Uno spunto non proprio da clickbait.
Per molti osservatori, l’attuale momento, in cui l’industria dei media digitali sta diventando traballante e i principali siti di social media stanno rapidamente degradando in termini di qualità, potrebbe inaugurare la fine del Web 2.0. Ben Smith, redattore fondatore di BuzzFeed News, ha dichiarato al Financial times che si tratta della la fine di un’era del tipo di «giornalismo che è stato costruito per viaggiare attraverso i canali dei social media e per coprire Internet come un luogo reale e importante».
Al centro della questione c’è l’informazione di qualità, merce rara, spesso sommersa da un flusso di notizie, pseudonotizie, bufale, imbonitori e personaggi in cerca d’autore, che è impetuoso come un fiume che esce dagli argini e copre tutto ciò che incontra, i fatti e la verità soprattutto.
Jeff Jarvis, critico dei media e professore di giornalismo alla City University di New York, pensa che già ora ci sono segnali di come stanno cambiando le cose. «Ad esempio, newsletter e podcast specializzati per un pubblico di nicchia stanno diventando sempre più popolari», ha affermato. «Ci sono anche più abbonamenti a pagamento, invece di siti di notizie dipendenti dalla pubblicità. E c’è stata una crescita nei siti che consigliano e diffondono notizie che non sono solo interessate alla viralità istantanea».
Ben Smith al Financial Times è stato ancora più netto: «La gente si è stancata di questa forma di distribuzione e dei social media in generale. Quello che vogliono ora è qualcosa di più umano, più curato e qualcosa che, ironia della sorte, sia costruito per aiutarti a navigare nel caos dei social media».
Riprendersi il piacere di leggere. Lo si può fare sul digitale, ma ancora sulla carta, non è solo questione di business, ma sanità mentale. Il futuro, come dice Ben Smith, è, infatti, qualcosa di più umano, più curato e che ci aiuti a uscire dal gregge laddove serve.
(Fonte foto: Unsplash)
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