Una storia di fede in Dio e fiducia in sé stessi viene dal mondo dello sport e ci ricorda come “io” e “Dio” siano i due termini di un rapporto inscindibile. Una vicenda che ha per protagonista Carolina Muñoz all’inizio dominata da una grande insicurezza, a causa della sua bassa statura (non supera il metro e mezzo di altezza). Un complesso per vincere il quale, venne iscritta da sua madre ad un corso di arti marziali, ma la prima volta che mise piede in una sala di addestramento, riuscì solo a piangere per giorni. Una ragazza timida e spaventata arrivata dall’Ecuador, negli Stati Uniti, la cui bassa statura non la aiutava di fronte ai grandi rivali.
Ma questo piccolo Davide in gonnella, con la forza della fede, è riuscita a superare alla grande i suoi Golia, trasformandosi in una evangelizzatrice convinta, una “campionessa di Cristo”. Carolina stessa racconta di come sua madre l’abbia spinta nella sala di addestramento, contro la sua volontà, ma dopo aver pianto la prima settimana di lezione, ha capito quanto fosse divertente e le facesse bene: «Ho scoperto di essere un’atleta nata per le arti marziali», ha detto di recente al Jersey Catholic. Non le ci volle molto per imparare a superare tutti i test e le competizioni a cui si sottoponeva. Ad ogni vittoria, anzi, la sua fiducia aumentava.
Finché, con il passare degli anni, Carolina, da discepola, si trasformò in maestra, arrivando a trovare, nell’insegnamento, la sua principale vocazione. Sebbene all’inizio la passione per il taekwondo fosse così totalizzante da non lasciare spazio alla fede e alla sua famiglia, in seguito le cose cambiarono. «Le arti marziali erano tutta la mia vita. Prima del campionato del mondo, mi sacrificavo molto. Sacrificavo la famiglia, gli amici, non uscivo… La domenica, quando la mia famiglia si vedeva, andavo agli allenamenti per ore. In quel momento sapevo che quella era la mia strada e avevo molta fretta di realizzarla», racconta.
Ma più si dedicava allo sport, più relegava la fede in secondo piano, nonostante la sua famiglia, soprattutto sua madre, le ricordasse come Dio dovesse essere sempre al primo posto. «Ogni volta che parlo, oggi, con mia madre lei menziona Gesù e mi parla della sua fede. Allora la mia fede non era così forte come lo è oggi, tuttavia lei continuava a piantare il seme e ad innaffiarlo. L’approccio che avevano i miei genitori, con me, era saggio, perché se costringi qualcuno a credere in Dio, non funziona mai», spiega. Eppure, in quegli anni, Carolina sembrava avere un solo obiettivo: diventare campionessa del mondo. L’ultimo periodo della sua adolescenza fu dedicato alla conquista del podio.
Nel 2013 la sua prima esperienza importante: il campionato del mondo, ma, alla vigilia della gara, nel bel mezzo delle qualifiche, venne bloccata da un infortunio ai muscoli posteriori della coscia durante una rissa. Immobile, concluse la performance piangendo, piena di dolori, mentre vedeva il suo sogno andare in fumo. Un anno dopo, ci riprovò e lo stesso infortunio si ripresentò. «Era come se Dio stesse mettendo alla prova la mia perseveranza», ha sottolineato. Ma questa volta l’infortunio avvenne con ampio margine, prima della competizione. Riuscì a qualificarsi per il suo primo campionato del mondo a Little Rock (Arkansas), dove dovette prima mettere alla prova le sue capacità tecniche.
La competizione era frenetica e fortunatamente l’adrenalina rese il dolore ai tendini praticamente impercettibile. Finì ex aequo con l’allora tre volte campione del mondo, piazzandosi per un secondo giro. Ma Munoz dubitava che la sua gamba potesse sopportare un’altra competizione. Alla fine, il giudice indicò proprio il suo rivale, come vincitore… e altri due: Munoz ce l’aveva fatta. Ma la vera svolta fu nel 2020, quando fu costretta ad abbandonare la competizione attiva, dopo aver affrontato un uomo che la superava in dimensioni e forza e che finì per cadere addosso alla giovane, provocandole la rottura del legamento crociato anteriore, un dolore lancinante che le costò diversi mesi di recupero e riabilitazione.
Fu così che, da un giorno all’altro, Carolina Muñoz passò dall’essere campionessa del mondo a non essere più in grado di camminare o calciare un pallone. «È stato pazzesco. Dato che non praticavo più le arti marziali ho dovuto chiedermi chi fossi veramente ed è stato un momento meraviglioso, anche se doloroso». Inizialmente la giovane sfogò tutta la sua rabbia e la sua frustrazione contro Dio, ma, poco alla volta, quella rabbia si trasformò in domande e le domande in preghiera, fino a sperimentare il totale abbandono in Dio e la pace.
Separarsi dal dojang per un po’ le ha permesso di riordinare le sue priorità. Prima, ricorda, «credevo che tutto quello che ho imparato nella vita fosse dovuto alle arti marziali. Ora sono forse al decimo posto nella mia lista. Essere figlia di Dio viene prima di tutto». Oggi, insieme alla fede, che approfondisce, con la madre, attraverso la preghiera, la catechesi e la Lectio Divina, Muñoz si dedica anche alla boxe. Un’altra attività importante che svolge, accanto alla boxe, tuttavia, è anche quella cominciata durante la pandemia, quando le venne offerto di partecipare ad un gruppo giovanile parrocchiale, nel New Jersey. Quel gruppo oggi è come la sua seconda famiglia: il suo obiettivo è «avvicinarli a Dio ogni giorno, sfidandoli e facendo loro scoprire ciò che Dio ha dato loro». (Fonte foto: Youtube/Youtube)
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