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Janada, vittima di Boko Haram: «Nonostante il dolore, continuo a fidarmi di Dio»
NEWS 16 Novembre 2022    di Federica Di Vito

Janada, vittima di Boko Haram: «Nonostante il dolore, continuo a fidarmi di Dio»

La storia forte della giovane ventiduenne Janada Marcus desta la nostra fede spesso assopita. Di fronte ai suoi occhi e a quelli di tutta la sua famiglia è stato decapitato suo padre per mano dei terroristi islamisti di Boko Haram. Poi lei stessa è stata rapita e torturata. Janada confessa che questi fatti in un primo momento l’hanno allontanata da Dio, ma che ora ha ricevuto la grazia per continuare a fidarsi di Lui e oggi testimonia la sua fede.

La famiglia di Janada era già riuscita due volte a sfuggire agli attacchi di Boko Haram. La prima volta, abbandonando la casa nei pressi di Baga, nella regione nigeriana del lago Ciad. La seconda, fuggendo nuovamente dalla loro nuova abitazione situata ad Askira Uba, nel sud dello stato di Borno, dove la sua casa fu incendiata e diversi parenti furono uccisi dagli islamisti. Così sono arrivati a Maiduguri, ma purtroppo non finisce qui. In un’intervista con Aiuto alla Chiesa che soffre (ACN), Janada Marcus racconta come Boko Haram ha quasi distrutto la sua vita. Oggi può dare testimonianza con la sua storia grazie al sostegno che riceve dal Centro Traumi della diocesi di Maiduguri, costruito con il sostegno di ACN.

Janada racconta che a Maiduguri si erano stabilizzati bene, avevano una casa, un terreno da coltivare, ed erano insieme, uniti. «Poi è arrivato il 20 ottobre 2018, giorno in cui ha preso il sole delle nostre vite», prosegue, «eravamo nella fattoria, lavorando allegramente e cantando inni cattolici per sollevare l’umore, quando improvvisamente ci siamo visti circondati da Boko Haram. Mille pensieri hanno attraversato la mia mente: Scappo? E se lo faccio, cosa succederà ai miei genitori? E se ci prendessero anche prima di iniziare a correre? Dovrei urlare e chiedere aiuto? Qualcuno verrà a salvarci? Ho deciso di mantenere la calma e lasciare che Dio facesse un miracolo. Quello che ci hanno fatto, però, era inimmaginabile».

Con un machete puntato al padre lo hanno minacciato proponendogli di fare sesso con Janada per la loro libertà. «Non riuscivo a trattenere le lacrime. Tremava, ma non era in grado di fare nulla. Mia madre non riusciva a pronunciare una parola a causa dello stato di shock in cui si trovava». In segno di sottomissione il padre abbassò la testa e proferì poche ma chiare parole: «Piuttosto preferisco morire che commettere questo abominio». Così l’hanno decapitato, davanti a tutti. «Ho implorato Dio di togliermi la vita; in realtà ero già un cadavere vivente, ma Dio mi ha ascoltato. Allora ho trovato un coraggio straordinario e rapidamente, con il nastro adesivo, ho fasciato la testa di mio padre in modo che il sangue non continuasse a sgorgare».

In seguito, il 9 novembre 2020, mentre Janada si stava recando in un ufficio governativo è stata catturata da Boko Haram. Portata nella boscaglia e torturata per sei giorni, «ho sofferto così tante esperienze terribili e malvagie – qualcosa di indicibile – che quei sei giorni mi sono sembrati sei anni. Il 15 novembre 2020 sono stata rilasciato. Sono tornata e ho trascorso qualche giorno con mia madre, che poi mi ha portato al Centro Traumi gestito dalla Diocesi di Maiduguri». Qui ha gettato le basi per poter ripartire, più forte di prima. «Mi sono poi sottoposta a sei mesi di terapia, preghiera e consulenza. Ora sono guarita, ma all’inizio mi era quasi impossibile lasciare andare il mio passato. Tuttavia, dopo quei mesi al Centro Traumi sono riuscita a lasciarmelo alle spalle. Dopo il processo di guarigione, mi sono iscritta all’università. Ora sono molto felice, darò il massimo per finire la mia laurea e diventare qualcuno di importante per la società».

Dice di aver imparato «l’arte di guarire». Lasciando andare il suo passato, curando la mente e il corpo, oggi afferma di «aver rafforzato la mia fede». Oggi racconta con coraggio di come quest’esperienza terribile l’abbia ricondotta a Dio, dopo un primo momento di allontanamento, «Sentivo che essere cristiana era una totale perdita di tempo. Dov’era Dio quando mio padre è stato ucciso? Dov’era Dio quando ho sopportato torture, agonia e privazioni? Dov’era Dio quando andavo a letto con lo stomaco vuoto? Dopo il processo di guarigione, ho trovato le risposte a tutte le mie domande. Ho imparato che Dio è ancora Dio. Nonostante tutto quello che ho sofferto, continuerò a confidare in Lui e a servirlo per il resto della mia vita». E, similmente a Gesù sofferente sulla croce, oggi può anche dire di averli «perdonati nel mio cuore e prego per la redenzione delle loro anime». (Fonte foto: Pexels.com)

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