«La tua Croce», diceva San Leone, è «la fonte di tutte le benedizioni, la causa di tutte le grazie». Con questa citazione padre Benedict prova a riassumere il senso del sacrificio di Gesù che, come sottolinea, si mostra in tutta la sua evidenza attuale, anche nel sacrificio dei ventuno cristiani copti che furono sgozzati nel 2015 su una spiaggia libica, dall’Isis e che sono entrati nel martirologio anche della Chiesa cattolica.
«Calma, dolcezza, dignità e fede, le labbra dei martiri copti parlando di Cristo hanno sconfitto le potenze della morte e del diavolo. Con la ferma convinzione che il loro momento di martirio sarebbe stato breve e che fossero per loro, le stesse parole di Gesù rivolte al Buon Ladrone». Ma la riflessione di fondo che propone padre Benedict è cos’ altro possa dare agli uomini, il coraggio di affrontare la morte in una pace visibile, se non la forza salvifica della loro fede nella Croce?
Una questione che può sembrare apparentemente scontata, ma che nella società secolarizzata di oggi, non lo è affatto. Infatti, padre Benedict sottolinea come questo messaggio che è il nòcciolo del cristianesimo oggi sia ampiamente offuscato dalla dottrina dell’ “universalismo” ovvero la convinzione che tutti gli uomini saranno salvati e che la croce sia solo un “dettaglio”. Una dottrina ampiamente confutata dal vangelo, in cui più volte si parla di punizione e “fuoco eterno”. Proprio l’universalismo contraddirebbe il senso del sacrificio di Gesù rendendolo vano.
Se non c’è peccato, non c’è il senso della Salvezza. Eppure, afferma il religioso, sulla croce, altare supremo in cui Dio manifesta il suo amore, Gesù concede il paradiso solo al ladrone pentito. Padre Benedict individua nel “deismo terapeutico predicato nelle chiese” la causa del declino del cristianesimo a cui oggi assistiamo in Europa. I banchi vuoti delle nostre chiese, rispecchiano proprio lo svuotamento del messaggio legato alla croce che è il nostro costitutivo bisogno di redenzione.
L’universalismo ha portato all’ illusoria, quanto pericolosa convinzione che ciò che compiamo sulla terra non influenzi il nostro destino ultraterreno: «Nonostante sia contraddetta dalla testimonianza di Cristo e dalla tradizione ininterrotta della Chiesa, questa convinzione è penetrata profondamente, non solo in una società vagamente deista, seppure secolare, ma, cosa molto più preoccupante, nel tessuto della Chiesa» – sottolinea padre Benedict.
«Le prove sono innumerevoli: le cerimonie funebri post-Vaticano II, la predicazione, l’elogio che non trova posto in un funerale cattolico ma che è ormai quasi universale, e il lavoro pericoloso di teologi eterodossi. La menzogna dell’universalismo è stata espressa al meglio dalle parole del premio Nobel polacco Czeslaw Milosz: “Il vero oppio dei popoli è la fede nel nulla dopo la morte – l’enorme conforto di pensare che nonostante tutti i nostri tradimenti, avidità, codardia, omicidi , non saremo giudicati”. L’universalismo, ovviamente, non implica il nulla, ma la salvezza universale certamente nega la realtà di ciò che la Croce proclama: il terribile costo del peccato”».
E invece, proprio la Croce ci richiama ad una terribile verità: la nostra ribellione, il nostro rifiuto di Dio, ha causato questo. «Gesù Cristo è il nostro sommo sacerdote», ha detto St. John Fisher – «e il Suo prezioso Corpo è il nostro sacrificio. «Senza la morte salvifica di Cristo sulla Croce» ci ricorda padre Benedict, «non c’è risurrezione, non c’è liberazione dalla schiavitù del peccato, e non c’è speranza di vita eterna. Questa è la fede costante della Chiesa, la fede che ha dato coraggio e speranza a uomini e donne nel corso dei secoli, ed è stata la fede dei martiri copti su quella spiaggia».
(Fonte foto: Pexels)
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