«Nel tempo della scristianizzazione e delle avanguardie pittoriche, Gasparro è un sovversivo per due motivi: la sacralità dei soggetti e la scelta figurativa, caratterizzata da una vigorosa fisicità» scrive il senese Antonio Socci. La rivoluzione del Vero, del Bello e del Bene. La rivoluzione del sacro che fa irruzione nell’arte contemporanea, contesto in cui l’assenza di opere autenticamente religiose rappresenta ormai, non solo una certezza, ma proprio un tratto caratteristico di tale produzione artistica, nella maggior parte dei casi e se si vuole mostrare di essere artisti à la page. E, mentre per molti pittori contemporanei la fede rappresenta un imbarazzante fardello, da rappresentare mostrando al massimo e nel migliore dei casi, una certa distanza dal proprio credo, per Giovanni Gasparro, evidentemente no.
Evidentemente no se, come sottolinea lo scrittore Camillo Langone, riferendosi all’ effigie della Madonna di Provenzano dipinta sul Drappellone del Palio di Siena, di cui Gasparro quest’anno è l’autore, grazie a quello che lui stesso ha ribattezzato “l’eccellente pittore pugliese”, tutti vedranno che «il palio di Siena non è una corsa ma una festa della Madonna». La Vergine è dipinta «Nel registro superiore dell’opera, in una gloria di angeli, coronata come nell’effige venerata nell’insigne Collegiata di Santa Maria in Provenzano e guarda, con una mano posta sul petto, verso il basso, ovvero verso i fedeli e verso la città di Siena, riunita per il Palio», recita il comunicato stampa del Comune di Siena. L’artista ci aveva avvisati: «Il mio è un Palio mistico». E, infatti, qualcosa di mistico o di quantomeno inspiegabile, durante l’esposizione dell’opera, è accaduto. Ne abbiamo parlato con “l’eccellente pittore” che si è soffermato a spiegarci il significato del Drappellone e il senso della sua opera.
Il direttore dei Musei Nazionali di Siena Axel Hémery ha definito “audace nel suo classicismo” il suo Drappellone? È davvero solo audacia oppure c’è il senso profondo della religione dietro il suo drappellone? «Il concetto di audacia, così come lo ha inteso il Direttore dei Musei Nazionali di Siena, è sicuramente riferibile all’oggetto artistico. Con il suo acume ha voluto evidenziare il concetto secondo cui, al giorno d’oggi, l’audacia, soprattutto nel sistema dell’arte contemporanea, consiste, paradossalmente, in una sorta di ritorno all’ordine, con la figurazione. Ciò riguarda ancora di più le arti sacre. In questo caso, spesso, non si prende in considerazione che il drappellone è un oggetto, seppure non propriamente di arte sacra, ma, comunque, di arte religiosa. E il drappellone di luglio è dedicato alla Madonna di Provenzano. In questo senso preciso va intesa “l’audacia” della mia opera».
Antonio Socci ha scritto un libro che si intitola “Dio abita in Toscana”, la sua opera può essere considerata un modo per rinvigorire questo legame tra fede, arte e territorio? «Il Drappellone è il paradigma delle opere d’arte che possono essere considerate in qualche modo connaturate col territorio, perché si tratta di una commissione pubblica, del Comune, per un contesto specifico, per una festa specifica, per un palio. Quindi il legame con il territorio è totale. Oltretutto, da statuto, il pittore del palio è in qualche modo obbligato ad inserire gli stemmi cittadini della Repubblica senese, i Terzi di Città e gli stemmi del Sindaco, la Balzana del Comune e gli stemmi delle contrade che corrono il palio. Quindi, parliamo di un elemento quanto mai legato al territorio e soprattutto all’arte che nei secoli ha arricchito chiese, palazzi e musei cittadini».
Il Palio è stato interrotto due volte per la pioggia, ma pare che la sua opera pur esposta non si sia bagnata. Lei crede ai miracoli? «Io credo fermamente nelle veridicità dei miracoli. La mia stessa famiglia, più volte, ne ha fatto esperienza. Tuttavia, senza voler necessariamente gridare all’evento prodigioso o miracolistico, la circostanza di cui è stata oggetto il mio drappellone del palio di Siena, ritengo possa essere considerata un fenomeno perlomeno non definibile in termini meramente umani. Non ho una spiegazione razionalmente valida, a supporto di ciò a cui ho assistito con i miei occhi. Tuttavia, direi che l’evento in sé, nudo e crudo, è quello che vede il dipinto esposto alla pioggia, durante la mossa della carriera del 2 luglio, per almeno mezz’ora, quindi per tutto l’arco temporale in cui è stato portato con il carroccio in piazza del Campo, per poi essere issato in un punto in cui non era coperto da alcuna tettoia. Da quel momento in poi, appena ha iniziato a piovere, è stato esposto alle intemperie, in diretta televisiva. Un evento che mi ha portato, appena rientrata l’opera a Palazzo Pubblico, a precipitarmi per controllarne le condizioni di conservazione, perché ero certo che fosse irrimediabilmente grondante. Invece, con lo stupore di tutti i presenti, me compreso, non abbiamo rinvenuto alcuna traccia d’acqua, in nessun punto. Credo, quindi, che il fenomeno sia abbastanza singolare. L’opera non era nemmeno inumidita sulla fodera del retro che protegge il dipinto. Peraltro, il giorno in cui si è verificato questo evento inspiegabile, il due luglio, era proprio la festa della Madonna di Provenzano che è dipinta sul Drappellone. Potrebbe esserci stato un intervento mariano, in questo senso? Mentre assistevo inerme, dalle trifore di Palazzo Pubblico, ho pregato la Beata Vergine affinché salvasse Lei il Drappellone dalla distruzione del dipinto, a cui sarebbe andato certamente incontro, essendo la seta, preparata con gesso, materiale notoriamente igroscopico».
Il Palio, infine, è stato vinto dalla Contrada Capitana dell’Onda e, nell’insigne Collegiata di Santa Maria in Provenzano, brandendo il Drappellone, i contradaioli hanno esultato cantando alla Madonna, in latino. Pensa, con la sua opera, di aver rimesso al centro il senso del sacro connesso a questa manifestazione? «Non so se effettivamente ci sia riuscito. Posso soltanto testimoniare che era il mio intento sin dalla nomina, proprio in rapporto al fatto che, negli ultimi decenni, questa commissione è stata affidata ad artisti di fama internazionale ma non sempre particolarmente devoti. Desideravo che la figura della Vergine ritrovasse la centralità e la predominanza che Le era dovuta. Vedere l’immagine dipinta, posta frontalmente rispetto al busto della Madonna di Provenzano, venerato nell’omonima Collegiata, con i contradaioli vittoriosi che intonavano il Maria Mater Gratiae, in latino, è stato fra i momenti più toccanti di questa esperienza irripetibile». (Foto: Screenshot – Rainews)
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