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La predica corta della domenica #13 – Al di fuori del battesimo c’è solo cibo per porci
NEWS 27 Marzo 2022    di Fabrizio Porcella

La predica corta della domenica #13 – Al di fuori del battesimo c’è solo cibo per porci

IV domenica di Quaresima, 20/03/2022

Commento al Vangelo di Lc 15,1-3.11-32

Con questa quarta domenica di quaresima siamo tuffati nel mare spazioso e vasto della misericordia di Dio. Sorprendente e oltre il nostro calcolo. La parabola narrata è quella cosiddetta del Figliol Prodigo o del Padre misericordioso, perché il vero protagonista è il cuore stracolmo di perdono di Dio Padre.

Anzitutto il Vangelo ci dice che tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a Gesù per ascoltarlo. Dunque un peccatore non deve aver paura di accostarsi al Signore, così anche noi possiamo tirare un sospiro di sollievo, non saremo scacciati dalla Sua presenza. Poi inizia la narrazione. Del famoso Figliol prodigo viene detto che esige come esclusivamente suoi i doni che il padre gli ha dato, poi che li usa anzi che li sperpera – dice il testo – in un paese lontano. Questo paese lontano è qualunque luogo al di fuori dall’alleanza con Dio, sempre noi viviamo lontano quando non ci muoviamo all’interno della volontà divina, e sempre sperperiamo i doni che Egli ci ha elargito quando non li utilizziamo nella sua casa, che è la Santa Chiesa.

Quante volte ci è capitato di pensare che essere liberi consista nell’andare via dalla casa del padre e fare ciò che più ci piace del patrimonio datoci, quante volte ci ha sfiorato l’idea che vivere bene stia nello spremere la vita fino in fondo, godere, accumulare esperienze, una dopo l’altra, in modo forsennato, fino all’esaurimento delle forze. E l’esito ci viene qui descritto, è la più totale degradazione, il ridursi come il nostro protagonista, a mangiare il cibo dei porci. Il Figliol prodigo, che si sentiva stretto nel vivere nella casa del padre come figlio, ora è obbligato a vivere come servitore di un padrone duro che lo mette a vivere con i suoi animali. L’uomo lontano da Dio si imbestia, diventa schiavo della propria animalità, come accadde a Pinocchio, che scappato dal padre Geppetto si ritrova a fare quel che vuole nel Paese dei balocchi, “un paese lontano”, per poi ritrovarsi trasformato in un somaro.

Noi conserviamo la nostra essenza, la nostra dignità umana, la nostra consistenza, solo quando ci riconosciamo figli e viviamo come tali. E solo allora siamo davvero liberi, perché non c’è libertà senza una appartenenza. Di più, siamo intrinsecamente destinati ad appartenere a qualcuno o a qualcosa, spetta a noi scegliere a chi, se al Padre o se al padrone dei maiali, perché, al di fuori della figliolanza battesimale c’è soltanto il cibo dei porci. E così arriviamo al padre, vero protagonista di questo racconto. Un padre può essere tale evidentemente soltanto se ha un figlio. Dio diventando nostro padre, attraverso il Battesimo si è, per così dire, condannato ad avere noi per sempre come figli. La fedeltà alla sua paternità passa per la permanenza del nostro essere figli, egli non può rinnegare se stesso.

La parabola dice che il Figliol prodigo ritorna in se dopo aver vissuto l’esperienza della fame, e allora pensò che sarebbe potuto rientrare a casa di suo padre almeno come servo, visto che anche ai domestici il vitto era garantito. Come possiamo vedere la motivazione di questa conversione, di questo rientro a casa, all’inizio non è per nulla spirituale, bensì molto concreto e legato ad un istinto e necessità primaria, la fame. Ma il padre non si offende per questo, non fa il moralista, non dice “ora non ti voglio in casa, ritorna dopo aver fatto un corso di esercizi spirituali, dopo aver meditato, pensaci bene e poi ne riparliamo”, gli corre in contro tutto felice, non gli permette neppure di terminare il discorsetto che il figlio si era preparato, gli impedisce di dire «riprendimi come tuo servo», perché lo rivuole solo come figlio, niente di meno. Però pur nella sua sconfinata misericordia è giusto, lascia che il figlio si dichiari colpevole, anzi più tardi, nel rispondere al fratello maggiore, usa un’espressione molto forte “questo tuo fratello era morto”, dice. Sì, era morto. Esiste il peccato mortale, uscire dall’abbraccio di Dio significa morire. E questo il Signore ce lo dice forte e chiaro.

Ma per tornare in quella casa casa, dove ci aspetta una grande festa, dove tutti si rallegrano con noi, dove nessuno ci tratterà da servitori, basta così poco, anche il morso della fame, anche il disgusto per noi stessi dopo aver assaggiato le ghiande dei maiali, Dio ci correrà incontro e farà lui tutto il resto. Ci rivestirà di una veste nuova, ci darà l’anello delle nozze con il cielo, i calzari affinché non ci facciano più male i piedi per andare verso di Lui.


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