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La predica corta della domenica #8 – Una Parola per me
NEWS 20 Febbraio 2022    di Don Massimo Vacchetti

La predica corta della domenica #8 – Una Parola per me

VII domenica del Tempo Ordinario, 20/02/2022

Commento al Vangelo di Luca 6,27-38

“A voi che ascoltate…”. Inizia così, il Vangelo di questa domenica. Gesù sta compiendo un buon annuncio. Desideriamo riceverlo consapevoli che l’accoglimento di questa parola è decisiva per noi, per la nostra vita. Lo scopo di ogni Vangelo è generare una fede più intensa, più matura, più vera. Ex auditu, fides. Dall’ascolto, la fede. Nel rito antico del Battesimo, il sacerdote chiedeva ai genitori nel dialogo iniziale. “Fides, quid tibi præstat?”. Che significa: “che cosa ti offre la fede?”. I genitori rispondevano: “Vitam ætérnam”. La vita eterna.

La prima cosa importante di oggi è che c’è una parola da ascoltare capace di dilatare la vita. O la vita è eterna, cioè piena, autentica o la vita si riduce al niente.

Ora, vediamo…Cos’è che si chiamati ad ascoltare…? Di cosa parla Cristo? Parla sempre del Padre. “Siate misericordiosi, com’è misericordioso il Padre vostro”. Cristo è comunione col Padre e “tutto ciò che ha udito dal Padre l’ha fatto conoscere a noi” (cfr. Gv 15,12).

“Amate i vostri nemici. Fate del bene a coloro che vi odiano. Benedite coloro che vi maltrattano. Dà a chiunque ti chiede. (…) Prestate senza sperare nulla. (…) Non giudicate. Non condannate. Perdonate”.

Ciò che ascoltiamo ci pare un elenco di realtà incomprensibili e insostenibili. Una litania dell’impossibile all’umana natura. Un inventario che certifica la mia incapacità, la mia inadempienza, la mia inconsistenza.

Se stiamo a ciò che ascoltiamo, per quanto sia desiderabile vivere così, sia che io m’immagini “il malvagio” a cui viene rivolta una parola di speranza; sia che io mi figuri “il buono” nell’arduo compito di non giudicare, questa parola mi risulta utopica, se non addirittura ideologica e, alla fin fine, insopportabile.

In certe situazioni, il massimo della carità che sono capace di vivere è il silenzio. Silenzio che spesso è condanna peggiore dell’affronto, della rissa e del giudizio. Se penso, alle circostanze in cui ho saputo trattenere l’ira, mi accorgo che quella episodicità è attribuibile più alla pavidità che alla virtù e ciò che potrebbe sembrare un atto di amore è, in fondo, un atto di convenienza o sopravvivenza. Già mi sembra impossibile vivere amando le persone amabili, come si farà mai ad amare le persone cattive? Quanto sono vere le parole della canzone che ha vinto Sanremo: “E ti vorrei amare, ma sbaglio sempre”…E come si farà – forse condizione ancora più esigente – lasciarsi amare senza alcun merito, magari nella colpa, così gratuitamente?

C’è di più. Questo Vangelo non è solo una parola da ascoltare. Né tanto meno, una Parola da osservare. Non è solo una Parola che ci è rivolta. E’ il volto di Cristo. Lui – i suoi occhi, le sue mani, la sua persona – è questa parola di Misericordia. Non è solo una Parola da ascoltare, come si ascolta un discorso appassionante. E’ una Parola da vedere e da toccare. E’ Lui la salvezza. E’ Lui il Vangelo.

Nella grana di queste parole, c’è Lui. Lui solo è così. Sulla Croce: “Padre, perdona loro”. Lui, nell’offerta di sé, versa il suo sangue per voi e per tutti in remissione dei peccati.

E’ Cristo la misura pigiata, scossa e traboccante versata nel grembo di Maria. Tutta la pienezza di Dio è dentro quel grembo. E quando noi preghiamo l’Ave Maria diciamo appunto “benedíctus fructus ventris tui, Iesus”. Ogni volta che preghiamo l’Ave Maria noi ci ricordiamo che questa è la pienezza che il Padre pigia nel grembo di quella ragazza fino a farlo traboccare. Un grembo, quello di Maria, dentro il quale c’è tutta la misura di Dio. Dentro il quale, c’è tutta la verità. Tutta la misericordia. Tutto l’amore. Tutta la Vita. Tutta la Sapienza. Per questo, Maria è “benedícta tu in muliéribus”, meglio ancora “benedícta tu in hominibus”.

Solo in quel grembo, nel seno di Maria, così carico di bontà trovo speranza. Lì, trovo l’Amore che si è fatto carne. Non un sentimento che Lui ha vissuto come un epico eroe e che io non sarei mai in grado di imitare. Come un bambino riempie di sé tutto il ventre materno, questo sentimento che chiamiamo amore, si è fatto carne. Tutto Cristo – dal suo concepimento passando per il suo primo vagito all’ultimo sospiro sulla Croce – è un immenso annuncio di misericordia.

Ho bisogno di questo annuncio non per poterlo mettere in pratica. Non ne sarei capace. Ho bisogno di ascoltare questa parola per avvertirla come messa in pratica nella Carne di Cristo per me.

Quello stesso grembo di Maria, oggi è la chiesa dove si celebra la S. Messa. Nell’umile ascolto della Sua Parola, la Liturgia non lascia che la Parola con la sua vertiginosa esigenza mi schiacci. Questa Parola, scossa, pigiata e traboccante, sull’altare, diventa Carne. Ed è per me.


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