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La predica corta della domenica – Non le mode ma il pensiero di Cristo
NEWS 13 Novembre 2022    di Samuele Pinna

La predica corta della domenica – Non le mode ma il pensiero di Cristo

XXXIII domenica del Tempo Ordinario, Vangelo Lc 21,5-19

Nei giorni cosiddetti dell’estate di san Martino si affastellano nella mia mente versi sublimi che dipingono queste giornate di grevi colori con cui l’autunno non disdegna rivestirsi. Da La nebbia agl’irti colli, popolarmente conosciuto quantomeno nel suo incipit, alla più melanconica Novembre di Giovanni Pascoli: Silenzio, intorno: solo, alle ventate, / odi lontano, da giardini ed orti, / di foglie un cader fragile. È l’estate, / fredda, dei morti. È l’ultima strofa del poetico componimento che fa prendere coscienza della caducità delle cose.

Impressiona, ma non al pari di Gesù quando sentenziò con giusta fermezza a chi si perdeva a rimirar l’estetica dell’edificio principe della religione ebraica: Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta. Non si tratta di catastrofismo, sebbene la profezia s’avveri cinquant’anni dopo, ma di un annuncio colmo di veridicità propenso a far nascere fiducia. Cosa vuol insegnare il Maestro ai suoi discepoli d’allora e di oggi? Innanzi tutto, ci dice che la sicurezza non si può mai basare su ciò che è esteriore, nemmeno nella Chiesa. I luoghi di culto, lo splendore della Liturgia (laddove ancora s’intravvede), l’efficienza nella carità non sono il fondamento, benché siano necessari al conseguimento del Regno dei Cieli. Si devono avere, per ciò, a cuore queste realtà tanto importanti, ma bisogna anzitutto tenere debitamente in conto che è decisivo per coloro che portano il sigillo di Cristo essere uomini dello Spirito, pervasi da Dio, innamorati di Lui solo. Altrimenti piegheremo la meravigliosa Tradizione ecclesiale, divinamente ispirata e condotta, a misere tradizioni umane destinate allo sfasciamento, come i massi del tempio. Di più, il Signore non pronostica ai suoi il successo, ma tutt’altro: metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno.

Non possiamo praticare la virtù teologale della fede se questa è ricondotta a un egocentrico soggettivismo, perché soltanto l’anima abitata dalla Trinità è in grado, per grazia, di darsi in sacrificio. È il tempo dei testimoni per eccellenza, numerosi in ogni epoca e soprattutto nella nostra, che domanda serio esame di coscienza. C’è, infatti, da impallidire davanti alla testimonianza dell’offerta della vita, quando per tanti sono – forse – gravose piccole fedeltà. Il discorso nel Vangelo non si arresta e acquista accenti onerosi: Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Si osserva, in molta cristianità, un sussulto di fastidio: non vogliamo, in fondo, censurare questa parola, perché ci appare troppo controcorrente? Non desideriamo, altresì, piacere, risultar graditi, avere consensi? Possiamo accettare l’odio altrui che ci meritiamo per i nostri errori e i nostri difetti, ma vale la pena essere martirizzati per il Suo di nome? E non può che sorgere inquieto l’interrogativo di discepoli curiosi davanti alla prospettiva dell’inizio dei dolori: Di’ a noi, buon Gesù, quando accadranno queste cose? Il Messia è lapidario nell’articolata risposta, sintetizzabile in un laconico badate di non lasciarvi ingannare.

L’esistenza non può essere vissuta seguendo mode mondane piene di raggiri, né come un possesso o un controllo su ciò che ci circonda. Essa ha da essere un dono attinto in una relazione d’amore, quella col Padre. E, come ogni rapporto, occorre ci sia fiducia, generatrice di fedeltà, e pazienza. Noi uomini del nostro tempo bramiamo subito quel che ci passa per la testa, rigettiamo l’attesa. E, invece, ci suggerisce il divin Maestro, dobbiamo macerare nell’impazienza, fintantoché le illusioni possano disperdersi e le intenzioni purificarsi. Mi si presentano hic et nunc i versi malinconici del Carducci: tra le rossastre nubi / stormi d’uccelli neri, / com’esuli pensieri, / nel vespero migrar. Ma è proprio nell’ora del tramonto e del volo degli uccelli migratori, dove i pensieri irrequieti vagano nell’affanno dell’insoddisfazione tipica della natura umana, che il nostro punto di vista deve lasciar spazio al pensiero di Cristo. Qui sorge e risorge vigorosa la speranza: io vi darò parola e sapienza. Chiamati a stare sempre con Lui, sarà la nostra perseveranza a salvarci l’anima.


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