di Walter Viola
Caro direttore,
sono stati la ragionevolezza, la capacità persuasiva degli argomenti, i toni mai sopra le righe, la compattezza e la determinazione di otto esponenti della minoranza politica del Consiglio della Provincia autonoma di Trento, a costringere, dopo un'estenuante dibattito durato sei giorni consecutivi, sabato e domenica inclusi, il presidente delle Provincia, Ugo Rossi, a sospendere e rinviare all'anno prossimo l'esame del disegno di legge "antiomofobia" proposto dal centro sinistra autonomista di cui è espressione il governo del Trentino. Un disegno di legge per contrastare, dice il titolo, le "discriminazioni dovute all'orientamento di genere", che (assemblato con un testo di iniziativa popolare per il quale Arcigay e Arcilesbica avevano raccolto 7mila firme) secondo la maggioranza avrebbe dovuto essere approvato nel giro di poche ore.
Così però non è stato, perché sia dai miei continui interventi che di quelli dei colleghi dell'opposizione, è emersa sempre una posizione molto ferma, pacata e chiara, con la quale siamo riusciti a dimostrare la scarsissima utilità e le finalità pretestuose, perché esclusivamente ideologiche, di questo provvedimento. Ci siamo riusciti perché abbiamo innanzitutto dichiarato e ribadito il nostro pieno rispetto delle persone e un deciso "no", umano prima ancora che politico, ad ogni forma di discriminazione, per combattere la quale, tra l'altro, ci sono già molte leggi a partire dagli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione.
Pur con accenti diversi abbiamo contestato in particolare l'obiettivo di fondo di questa normativa: promuovere una cultura di genere partendo dall'educazione scolastica. Il disegno di legge, infatti, prevede interventi nelle scuole rivolti ai bambini e ai ragazzi per "educarli" al fatto che una persona non è maschio o femmina, ma è quello che sente di essere. Una "politica" educativa che prevede interventi in classe fin dalle scuole elementari e punta, cito testualmente, sullo "scardinamento delle rappresentazioni stereotipate del maschile e del femminile, con particolare riferimento alla letteratura per l'infanzia e ai libri di testo". Ciò significa affidare alla Provincia il compito di realizzare una vera e propria rivoluzione culturale e soprattutto antropologica.
Nei nostri interventi abbiamo ricordato il "no" espresso anche da molti politici nazionali di ogni appartenenza a interventi invasivi come questo, volti in ultima istanza a ridurre il valore della famiglia fondata sul matrimonio, previsto dalla Costituzione italiana. Argomentazioni che hanno permesso a molti colleghi della maggioranza di constatare l'insostenibilità della proposta di legge così come impostata e scritta. Una battaglia condotta a fil di ragione e ragioni che, una volta tanto, ha vinto sulla logica dei numeri e non delle maggioranze preconcette.
Abbiamo inoltre smascherato la subalternità di questo disegno di legge al politically correct che pretende di imporre a tutti lo stesso modello di pensiero (superficiale) e di convivenza, basato sul più assoluto soggettivismo e quindi sulla massima instabilità dei rapporti interpersonali. Esattamente il contrario di ciò di cui una società vitale ha bisogno per crescere.
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