Tanto rumore per nulla. Viene da commentare così la polemica divampata in queste ore contro la Regione Lazio, rea di aver revocato il patrocinio alla manifestazione Roma Pride 2023. L’ente guidato dal centrodestra ha ribadito «il proprio impegno sui diritti civili, come dimostra, del resto, l’operato pluriennale del Presidente Francesco Rocca». Tuttavia la Regione Lazio «non può, né potrà mai, essere utilizzata a sostegno di manifestazioni volte a promuovere comportamenti illegali, con specifico riferimento alla pratica del cosiddetto utero in affitto».
Apriti cielo. Per questa presa di posizione, sulla Regione Lazio son subito piovuti gli strali di tutto il mondo progressista e dell’associazionismo arcobaleno, che accusa l’ente di essere asservito a Pro Vita & Famiglia, l’associazione pro life e pro family che effettivamente ha accolto con favore (e non poteva che essere così) la mossa di Francesco Rocca, il quale peraltro ha sempre intrattenuto – e lo ha fatto anche durante la campagna elettorale che lo ha portato alla presidenza della regione – rapporti non buoni, bensì ottimi proprio con il mondo Lgbt. Difficile dunque, accusarlo di oscurantismo.
Ancor più assurdo è accusare la Regione Lazio, per la sua scelta di essersi sfilata dal Roma Pride, di volersi accostare alle politiche di Orbán. La realtà, infatti, è molto più banale: Rocca fa parte di una compagine politica che vuole oggi rendere l’utero in affitto reato universale; quindi mai e poi mai avrebbe potuto appoggiare una manifestazione che quella stessa pratica vuole sdoganare. Inoltre, se proprio segue qualcuno, Regione Lazio non segue l’Ungheria ma, semmai, ArciLesbica. Una sigla non esattamente bigotta che tuttavia già da anni – per esempio al Dolomiti Pride, a Trento, accadde nel 2018 – contesta sfilate che appoggino la compravendita di bambini. Tanto rumore per nulla davvero. (Foto: Imagoeconomica)
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