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La scuola cattolica? È quella “retta”
NEWS 4 Aprile 2022    di Manuela Antonacci

La scuola cattolica? È quella “retta”

La Congregazione per l’Educazione Cattolica ha recentemente varato le nuove linee guida per le scuole cattoliche, dal titolo “L’identità della scuola cattolica per una cultura del dialogo“. Un documento in cui si analizzano alcune interpretazioni divergenti della qualifica di scuola “cattolica”. Ad esempio il modello “riduttivo”, che tenderebbe ad escludere proprio i principi e le esigenze alla base della fede cattolica stessa.

Ma anche l’interpretazione “formale”, secondo cui, quello che conta per definire una scuola cattolica, sarebbe semplicemente il riconoscimento da parte dell’autorità ecclesiale o un non ben precisato “spirito cattolico”, che appunto, si presterebbe a mille interpretazioni. E infine il modello “chiuso”, in cui non ci sarebbe spazio per chi “non è totalmente cattolico”, che racchiude il rischio, si legge nel documento, che la scuola cattolica “perda il suo slancio missionario per chiudersi in un’isola”.

Tuttavia la parte del documento che forse sta scatenando più “rumors”, riguarda i parametri per l’assunzione dei docenti: “Gli insegnanti, in particolare, sono chiamati a “distinguersi per una retta dottrina e per probità di vita nella formazione delle giovani generazioni”. In caso contrario, esorta il documento, “la scuola prenda le misure appropriate. Può essere disposta anche la dimissione”. “Tra tutti i membri della comunità scolastica si distinguono gli insegnanti che hanno una responsabilità peculiare per l’educazione – scrive la Congregazione -. Essi, con la loro capacità e arte didattico-pedagogica nonché con la testimonianza di vita, sono coloro che garantiscono alla scuola cattolica la realizzazione del suo progetto formativo. In una scuola cattolica, infatti, il servizio dell’insegnante è munus e ufficio ecclesiale”, conclude il documento.

Ne abbiamo parlato con padre Luigi Gaetani (foto nell’articolo), presidente della Conferenza italiana superiori maggiori (Cism)

Padre Gaetani, cosa pensa dell’aggettivo “cattolica” rispetto alle tre indicazioni?

«Ritengo necessario dire che non c’è una definizione sulla scuola cattolica perché definirla vuol dire circoscriverla, il che sarebbe in contraddizione con il significato di cattolicità che, in questo contesto, potremmo tradurre come esperienza di apertura culturale, come capacità di stare sul bordo dell’interculturalità, in quello spazio dove ogni distanza è prossimità e condivisione. La scuola cattolica è uno dei luoghi dove accade la formazione umana dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, dai 9 mesi ai 19 anni, evidenziandone una prospettiva educativa che trova fondamento nell’antropologia evangelica, in quella forma di umanesimo cristiano che fa bello l’uomo e abbellisce il mondo, dandone significato e fine. La formazione della scuola cattolica tende a collocare la persona umana, qualunque sia la condizione sociale, politica, economica, in un orizzonte di senso che faccia emergere la peculiarità del suo essere e del suo operare nel tempo, a beneficio della collettività. La scuola cattolica, inoltre, è chiamata al compito della evangelizzazione, attraverso l’irradiazione dei valori evangelici che formano alla pace tra i popoli, alla solidarietà, alla promozione del bene comune, alla vita buona del vangelo».

In base alla sua esperienza prevale il modello “riduttivo” o “formale” in Italia?

«La cattolicità di una istituzione, nel nostro caso quella della scuola, emerge, allora, dalla fedeltà allo stile di Gesù, a quella forma peculiare di incarnare, qui ed ora, il Vangelo, facendolo diventare progetto educativo. Il Vescovo, in quanto pastore e padre di una comunità che abita un territorio, ha un ruolo di promozione di tutto ciò che è umano e, nello stesso tempo, di vigilanza perché le ideologie non pieghino l’uomo fino al punto da metterlo in una condizione sub-umana. Questo ruolo il vescovo non lo svolge da solo ma attraverso il riconoscimento e la collaborazione di tutti coloro che sono coinvolti in un progetto educativo che diviene patto educativo su un territorio, esperienza di dialogo e di condivisione, di collaborazione e formazione di soggetti responsabili e liberi. In particolare, occorre riconoscere il ruolo strategico e vitale che le diverse Congregazioni hanno esercitato attraverso il carisma educativo, l’impegno che tante donne e uomini hanno profuso per rendere possibile l’alfabetizzazione nel nostro Paese, per consentire a tutti, in particolare ai meno agiati, di poter accedere ai diversi gradi dell’istruzione, promuovendo la loro condizione sociale ed innalzando il livello culturale e sociale della nostra gente. I diversi progetti educativi degli Istituti religiosi realizzano così, ciascuno secondo un proprium, quello che Papa Francesco chiama il “patto educativo”; questa intesa di formazione si realizza immediatamente all’interno della cattolicità ma si apre alla collaborazione con tutti coloro che hanno a cuore la formazione dell’uomo».

Cosa dovrebbe caratterizzare una scuola che si definisce “cattolica”?

«E’ innegabile che la prima risorsa della scuola cattolica, come di ogni scuola statale, sono i docenti. Il Documento “L’identità della Scuola Cattolica per una cultura del dialogo” contiene affermazioni sicuramente condivisibili su di loro, tuttavia alcune di queste, se non correttamente intese, potrebbero prestarsi a pericolose strumentalizzazioni. Nella attuale realtà scolastica italiana il reclutamento dei docenti avviene tramite chiamata diretta da parte del Preside. La scelta di affidare l’insegnamento di una disciplina ad un docente piuttosto che ad un altro deve tenere conto di una serie di elementi che non possono ridursi al solo essere credenti e praticanti. Non voglio essere frainteso. Nell’insegnamento entrano in gioco molteplici aspetti quali le conoscenze disciplinari, le competenze didattiche, la capacità di sapersi relazionare in maniera corretta e rispettosa con gli studenti, i genitori, i colleghi. L’essere credente e praticante non conferisce automaticamente tali dimensioni vitali e didattiche per l’insegnamento. Infatti, quanti docenti delle nostre scuole, pur non essendo credenti e praticanti, realizzano con la rettitudine della loro persona e della loro vita il progetto educativo della scuola cattolica? Sottolineo l’importanza della rettitudine. E’ ovvio che l’insegnante di Scienze naturali dovrà presentare i contenuti della sua disciplina in modo obiettivo e conforme alla natura cattolica della realtà in cui lavora, non negando e non mentendo, ma presentando, in modo obiettivo, i contenuti della materia in maniera tale che il giovane si formi ad avere spirito critico. Spetterà poi al preside vigilare che quanto trasmesso in classe abiliti lo studente a formarsi una visione globale e critica della realtà, fino al punto da potersi orientare ad una opzione che includa la prospettiva antropologica cristiana, la visione evangelica del senso e del significato della vita». Questa è la sfida che la scuola cattolica è chiamata ad affrontare. Essa non può ridursi ad una sorta di civitas supra montem posita, tutt’altro. Gesù ci dice di essere nel mondo, con la nostra identità, con i nostri valori, aperti al confronto non chiusi e arroccati. E’ questa la strada del dialogo, quello vero, quello che non ha paura del confronto. La scuola cattolica vuole assumere docenti, li vuole abilitati, li vuole assumere a tempo indeterminato, pagandoli come i colleghi della scuola statale. Sicuramente il Documento della Congregazione per la Scuola cattolica ha voluto fare chiarezza su alcuni punti: sta però a noi fare sì che non si generino strumentalizzazioni che andrebbero a danno dei poveri, di quelle realtà di frontiera che, tra mille difficoltà, portano avanti un progetto educativo cattolico che vuole formare cittadini seri e responsabili. Il cammino sin qui percorso verso una reale parità non può subire rallentamenti, anzi deve procedere alacremente a tutela di noi tutti».


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