Sembra di vederli, i genitori di Indi Gregory, fissare compulsivamente l’orologio. L’ora X sta per arrivare. I medici sono pronti a staccarle la spina, uccidendola, di fatto, per soffocamento. Lo fanno per una questione di dignità umana, dicono. Lo fanno perché Sua Maestà ha il diritto (e il dovere) di badare non solo alla salute dei suoi sudditi ma anche di decretarne la morte. E Indi deve morire. O meglio: doveva morire oggi alle 14. Ma così non è stato perché, nei giorni scorsi, l’Italia si è messa in mezzo, ha dato la cittadinanza alla piccola e ha avviato una serie di gabole burocratiche che hanno permesso di ritardare la sua esecuzione. Non se ne parla almeno fino a domani. Una notte è stata guadagnata, sia per la piccola sia per i suoi genitori. Poi si vedrà.
Intanto, il padre di Indi ha affermato, in un video diffuso da La7: «Pensiamo che sia nel miglior interesse di Indi venire in Italia per ricevere le cure che potrebbero aiutarla a respirare, aprendo una valvola attraverso l’impianto di uno stent, per poi poterci concentrare sulla sua malattia mitocondriale che può essere trattata con queste terapie. Sappiamo che Indi è una combattente, lei vuole vivere e non merita di morire. Grazie». Ed è proprio questo il punto.
Per Indi una speranza c’è. Ma gliela si vuole negare. Al Bambino Gesù di Roma non ci sono medici sadici che vogliono vedere una bambina soffrire. Al contrario, sono dottori che pensano che per lei ci sia ancora una possibilità e che questa strada debba essere percorsa. Lo pensano per questioni puramente scientifiche, non religiose o etiche. Lo pensano perché lo hanno giurato. E i genitori della piccola, che la amano certamente di più di un giudice, si fidano di loro. Una speranza c’è. Tentar non nuoce, quindi.
A meno che si voglia ergersi a divinità che tutto possono (anche decidere chi e quando deve morire). Ed è forse questa la tentazione dei giudici e dei medici inglesi. Loro hanno ragione, i loro colleghi torto. Ammazziamola. E viene normale chiedersi dove sia il bene del bambino in tutto questo. Proviamo a ragionare, a metterci nei panni dei medici e dei giudici di Sua Maestà. Cerchiamo anche di essere il più cinici possibile. Da una parte c’è la morte certa. Dall’altra un barlume, seppur piccolissimo, di speranza. Sappiamo che Indi non guarirà (ma quanti sono i bambini malati al mondo? Dovremmo sopprimerli tutti?).
Ma sappiamo anche che potrebbe stare meglio, che potrebbe continuare a ricevere amore. E a darlo. Perché non provare. Se sappiamo che stiamo affogando ci viene spontaneo cercare di rimanere a galla, di dirigersi verso quel piccolo scoglio che vediamo in lontananza anche se sappiamo che tra le onde potrebbero nascondersi gli squali che ci potrebbero ammazzare. La possibilità di una speranza è certamente meglio della certezza di una tragedia. In tutti i mari. Perfino in quelli che, e in questo caso è giusto e doveroso dirlo, bagnano la perfida Albione (Fonte: Screenshot, Christian Concern, Skynews, YouTube)
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