Banner_Il Sabato del Timone_14 dic 24_1920x280

7.12.2024

/
/
La strage islamista di Dacca e la lezione pontificia di Ratisbona capita sinora solo a metà
news
6 Luglio 2016

La strage islamista di Dacca e la lezione pontificia di Ratisbona capita sinora solo a metà

di Bernardo Cervellera, P.I.M.E.

 

In Bangladesh e in Italia c'è ancora sgomento e incredulità per la strage compiuta a Dhaka lo scorso primo luglio all'Holey Artisan Café, nel quartiere esclusivo di Gulshan, dove sono stati uccisi (e prima ancora torturati) nove italiani (10 se si pensa che la signora Simona Monti era incinta), sette giapponesi, una statunitense, un'indiana e quattro bangladeshi.

Lo sgomento viene dal fatto che tutt'a un tratto l'islam bengalese, tanto amichevole e dialogico, come l'abbiamo sempre conosciuto, ha mostrato un volto crudele, cinico e fondamentalista.

L'incredulità sorge dalla scoperta che almeno tre degli assalitori erano giovani sui 22 anni di buona famiglia, educati nei college internazionali, che escono fuori dal quadro solito del musulmano oppresso dalla miseria e dalla povertà, indottrinato dalle madrassah integraliste. A quanto pare – secondo le sobrie indicazioni della polizia di Dhaka – solo uno degli assalitori, Khairul Islam, risponde a questo identikit. Gli altri – Rohan Imtiaz, figlio di un politico dell'Awami League, il partito (laico) al potere; Nibras Islam e Andaleeb Ahmed, con studi in un'università australiana a Kuala Lumpur; Meer Saameh Mubasheer e Raiyan Minhaj, studenti nelle migliori scuole della capitale – fanno parte del gruppo di "giovani fuori controllo", come sono stati definiti dai poliziotti prima del blitz. Diversi di loro, dopo anni di agi, divertimenti, selfies, amori – come dimostrano i loro profili su Facebook e Twitter – sono fuggiti dalle famiglie e scomparsi.

Secondo un generale della sicurezza in pensione, Sakhawat Hossain, vi sono almeno 150 (e forse 200) giovani bangladeshi scomparsi e si pensa che siano andati in Siria o Iraq a combattere al fianco di Daesh.

Se dallo sgomento e dall'incredulità si passa all'azione, la prima questione da affrontare è il legame fra islam moderato e islam fondamentalista. La premier del Bangladesh Sheikh Hasina, denunciando il massacro – compiuto in uno dei maggiori giorni di festa del Ramadan, l'ultimo venerdì del mese di digiuno – ha subito detto: "Questo non è islam". E lo ha fatto perché all'opposizione ha un partito che si ispira proprio all'islam integralista: criticare quel tipo di islam rischia di produrre più adesioni ai suoi nemici politici.

La stessa cosa avviene da noi in Italia e in Europa, dove vi è silenzio da parte musulmana su questa strage e dove – per altre stragi – le associazioni musulmane si lavano subito le mani dicendo anche loro: "Questo non è islam". Eppure questi giovani "fuori controllo", prima di uccidere, hanno chiesto di recitare versetti del Corano, proprio nello stile di Daesh (lo Stato islamico). C'è un'interpretazione dell'islam che porta alla violenza e i giovani, desiderosi di soluzioni sommarie e impazienti, ne sono affascinati e stregati; vi sono imam e predicatori che istillano disprezzo verso le altre religioni, verso l'occidente, verso gli eretici (sciiti o ahmadi) e che per purificare la terra d'islam sono disposti a distruggere tutti, anche se stessi. Non è tempo che nel mondo islamico si denunci questa interpretazione violenta del Corano? Che si condannino e denuncino quegli imam che spingono al disprezzo e all'odio per le altre religioni? Che inizi o si riprenda una rilettura della fede musulmana a paragone con la modernità, i diritti dell'uomo, della donna?

Fra i miei amici di Facebook ho trovato un "esame di coscienza" di un musulmano che accusa di "ipocrisia" la posizione di tanti correligionari che appoggiano la sharia e nello stesso tempo dicono che "Daesh non ci rappresenta". "O noi raggiungiamo e facciamo alleanza con Daesh, e cessiamo la commedia, oppure riformiamo la nostra visione dell'islam e la spolveriamo di tutte le vecchiezze, cioè la sharia e la giurisprudenza inventata dagli ulema (i dottori coranici)". E un altro commento afferma: "Gli imam, la cui gran parte non ha alcuna cultura generale, non hanno mai avuto la cura di insegnare la tolleranza ai fedeli". E citando poi "i teorici dell'islamismo", che usano libri e canali televisivi, li accusa di "insegnare l'odio, il disprezzo e il rifiuto dell'altro". Speriamo davvero che questa lucidità si diffonda fra i nostri amici musulmani e che anche i nostri governi siano guardinghi nel loro liberalismo che lascia predicare chiunque e permette che Paesi fondamentalisti finanzino questo tipo di imam, condannato sopra.

Il cercare di venire a capo del binomio islam-violenza riporta alla mente la magistrale lezione di papa Benedetto XVI a Regensburg, quando suggeriva al mondo musulmano che la violenza non è degna di Dio, che è ragione. In questi giorni molti commentatori ufficiali e non ufficiali hanno citato quel discorso anche se forse capito solo a metà. Molti infatti citano papa Ratzinger solo per quella pagina in cui si fa riferimento all'islam (con la dotta citazione di Manuele II il Paleologo), ma si dimenticano delle altre (almeno 12) dedicate all'occidente e al suo disprezzo per la religione come "irrazionale".

In effetti, se c'è bisogno di un esame di coscienza nel mondo islamico, vi è anche necessità di un simile esame di coscienza nel mondo occidentale. Che giovani bangladeshi ben educati e esposti alla modernità globalizzata decidano di sacrificarsi per l'islam mette infatti in crisi il nostro modello che vede nelle capacità, nel successo, nel benessere il suo ideale, senza alcun riferimento a Dio. I giovani "fuori controllo" di Dhaka sono molto simili a quei giovani che hanno colpito a Parigi, Bruxelles, Londra, …. E sono simili a quei ragazzi occidentali che dopo un'adolescenza nella bambagia, decidono di andare a combattere in Siria o in Iraq a fianco di Daesh. Una francese musulmana, studiosa di questo fenomeno, Dunia Bouzard, raccontando il sottofondo familiare dei giovani fuggitivi, mostra con chiarezza, forse anche senza volerlo, come queste famiglie fossero secolarizzate, senza alcun riferimento religioso esplicito e convincente. Così, quando la domanda di senso nella loro vita diventa urgente, essi cadono preda del primo predicatore on-line, non avendo alcun criterio per distinguere il vero e il falso dal discorso religioso, non avendo mai avuto l'occasione di incontrare testimoni di fede.

Non stiamo parlando delle povere vittime di Dhaka. Anzi, alcuni di loro erano noti per la loro fede e per la loro carità. Parliamo di un occidente nella società e negli Stati che disprezza la religione, che la reputa "irrazionale" e per questo non degna dell'uomo, da emarginare, privatizzare e magari soffocare perché non faccia danni alla società che funzionerebbe tanto meglio senza di essa. Secondo alcuni studiosi, il fondamentalismo violento di alcune religioni è il pendant, l'altra faccia della medaglia di un occidente senza Dio, che irride la religione.

Se vogliamo rileggere in modo completo il discorso di Regensburg, è importante che i musulmani si separino dalla violenza, ma anche che l'occidente ritorni a un'idea di ragione che abbracci anche la dimensione religiosa. Senza di ciò – come ha avvertito Benedetto XVI – anche l'occidente (proprio come l'islam fondamentalista) non riuscirà a capire le altre culture e provocherà la violenza, che ci sembrerà sempre più irrazionale. E invece non lo è.

 

Acquista il Timone

Acquista la versione cartacea

Riceverai direttamente a casa tua il Timone

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Acquista la versione digitale

Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone

Resta sempre aggiornato, scarica la nostra App:

Abbonati alla rivista