La notizia è circolata velocemente sui media nostrani: Daniela Molinari, infermiera comasca di 47 anni malata di cancro, potrà tentare una cura sperimentale grazie alla sopraggiunta disponibilità a collaborare da parte della sua mamma biologica, che ha infine accettato di sottoporsi al prelievo per fare la mappa genetica necessaria per dare una speranza di guarigione a Daniela.
Questa vicenda del tutto particolare, da notizia di provincia, già nei mesi scorsi aveva conquistato la cronaca nazionale: la Molinari, infatti, era stata abbandonata alla nascita presso l’orfanotrofio delle suore di Rebbia, a Como, e sua madre aveva chiesto di cancellare il suo nome e i dati sanitari. Tuttavia, spinta dalla necessità di curarsi, la donna si era rivolta alla Procura per i minorenni di Milano, la quale è riuscita a risalire alla cartella clinica dell’ospedale Sant’Anna di San Fermo della Battaglia con l’atto di nascita originale, e lì il nome compariva. Di qui, l’appello della Molinari, in prima battuta respinto in quanto «troppo doloroso ricordare quel periodo della sua vita», a fare la mappatura genetica. In seguito, anche in virtù della collaborazione del Tribunale dei minori, la mamma biologica di Daniela è tornata sui propri passi e ha acconsentito al prelievo, anche alla luce del fatto che le sono stati garantiti l’anonimato e la riservatezza.
Si apre così una nuova speranza di guarigione per Daniela, che non può che ringraziare la madre per questo seconda vita che le concede. Sì, perché un primo dono la donna glielo aveva fatto 47 anni fa, decidendo di non abortire quella figlia che pare essere stata concepita in un contesto di violenza: e poco vale dire che la legge sull’aborto non era ancora in vigore, perché le soluzioni per interrompere la gravidanza c’erano comunque. Certo, l’abbandono della figlia era avvenuto secondo le modalità dell’epoca, che oggi si dimostrano essere molto più tutelative nei confronti di quelle mamme che, andando contro il pensiero dominante che vede nell’aborto l’unica “soluzione”, decidono di partorire in ospedale in anonimato, secondo il Dpr 396/2000, art. 30, comma 2; a esso, si affianca infatti la Legge 149/2001, art. 24, comma 7, che nega ogni possibilità di accedere, a certe condizioni e con certe procedure, alle informazioni concernenti l’identità dei suoi genitori biologici, laddove la madre non abbia riconosciuto il figlio all’atto della nascita.
Ad ogni modo, la vicenda del comasco consente di fare un ragionamento che va oltre la mera cronaca. Un passaggio che prende corpo in tutto il suo paradosso. Infatti, ad aver accolto con favore la scelta della mamma biologica della Molinari sono proprio i nostri quotidiani allineati sull’onda del “progresso”, che si fanno oramai da decenni portavoce della bontà – e finanche necessità – in primis dell’aborto, in virtù del quale non saremmo qui a raccontare questa storia a lieto fine, così come della fecondazione artificiale eterologa e dell’utero in affitto, con tutto quanto vi è di annesso e connesso, “diritti” del mondo LGBT al vertice. Un paradosso che rivela la tara di uno sguardo miope, incapace di analizzare le questioni con una visuale ampia, non compressa dai paraocchi dell’ideologia.
Infatti, come rilevavamo, pur nel dolore della sua storia di vita, la Molinari ha sperimentato un duplice gesto d’amore, all’atto della nascita prima e di nuovo oggi: ma che ne è, e sarà, di tutti quei bambini, sempre di più, che vivono e vivranno questa separazione dalla propria madre biologica, così come dal proprio padre biologico, semplicemente per egoismo, perché il figlio è “un diritto” e il dato biologico un semplice “orpello”? Cosa ne è di tutta quella schiera di persone che non conosce le proprie origini biologiche? Già oggi abbiamo gruppi di “figli anonimi” che si battono, in primis sul fronte legale, per conoscere i propri genitori biologici: un domani che questa eventualità sarà amplificata in potenza, con il moltiplicarsi delle figure genitoriali (madre biologica, padre biologico, madre gestazionale, madre e/o padre adottivi, magari anche dello stesso sesso…), cosa succederà? Cosa succederà se qualcuno di questi “figli anonimi” si ammalerà, come la Molinari, e avrà un bisogno anche fisico, oltre che psicologico, di conoscere i propri genitori biologici?
Anche perché, una questione è se questa assenza di radici biologiche avviene come extrema ratio per salvare una vita umana dall’aborto, e quindi di fatto per amore e nel rispetto della dignità di ogni singolo individuo, tutt’altro è se avviene per inseguire un puro desiderio personale, con la violenza del diritto del “più forte” a vincere sul diritto del nascituro (oltre che, spesso, delle altre parti in causa nel processo). Ecco, queste domande, per quanto portatrici di una risposta “scomoda”, vanno quantomeno poste.
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