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L’abate Sidotti, «ultimo» missionario del Giappone, converta i suoi carcerieri prima di essere trucidato
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6 Aprile 2016

L’abate Sidotti, «ultimo» missionario del Giappone, converta i suoi carcerieri prima di essere trucidato

da Radio Vaticana

 

Le autorità del Giappone hanno confermato ieri l’autenticità dei resti dell'Abate Giovanni Battista Sidotti (Sidoti, Sidot), ritrovati circa due anni fa in uno scavo a Tokyo. Si tratta "dell’ultimo missionario nel Paese" di cui per 300 anni si erano perse le tracce. Siciliano partito da Roma, via Manila arrivò nel Sol Levante nel 1708. Fu subito catturato e dopo una serie di interrogatori che consentirono al Giappone di conoscere la religione cattolica, la geografia e la storia dell’Europa, fu imprigionato. Don Sidoti morì dopo essere stato gettato in una fossa vicino a quelle di una coppia di sposi che aveva convertito durante la prigionia. Circa 150 anni fa, fu scoperto il manoscritto che parlava di lui redatto dal consigliere dello shogun, Arai Hakuseki, che lo aveva interrogato. “Nell’anno del Giubileo della Misericordia splende un sole meraviglioso”, ribadisce da Tokyo fra Mario Tarcisio Canducci, che ieri ha presenziato all’incontro con i rappresentanti della chiesa locale e le autorità del municipio di Tokyo-Bunkyo:

R. – C’è stato un buio per 300 anni e poi, all’improvviso, adesso viene un sole fantastico! Sono contento! Nell’Anno della Misericordia arriva questo sole! Ho 82 anni, ma sono ringiovanito di 40!

D. – Ieri, un’ora prima della conferenza stampa, ha avuto il privilegio di vedere le ossa di Sidoti: che cosa ha provato?

R. – Ho detto al responsabile che ha portato avanti tutte le pratiche e che aveva le reliquie in una borsa: “Mettiamole sul tavolo, mi permetta di  pregare”. Ho detto in giapponese: “Ti ringrazio Signore per questo dono che ci hai dato del martire Sidoti. Grazie per averci fatto conoscere che le sue ossa sono quelle che noi veneriamo adesso”. Perché questa è una notizia enorme, bellissima, straordinaria!

D. – Le ossa vennero trovate circa due anni fa mentre era in corso uno scavo per la costruzione di un palazzo. Lei si precipitò lì…

R. – Iniziarono i lavori e subito trovarono tre tombe e le ossa. Allora dovettero chiamare la polizia, secondo quanto afferma la legge giapponese. Venni  a sapere di questa cosa all’improvviso e andai di corsa, ma quando arrivai, già avevano prelevato le ossa: forse un’ora prima del mio arrivo. Il portone del recinto – enorme – era aperto: andai con Suor Saito, anche lei francescana di 92 anni, una suora molto in gamba, e con una cattolica della parrocchia di Sant’Antonio a Tokyo dove sono io. Andammo là, e io urlai: “Permesso, permesso! Vorrei entrare!”. Era proibito entrare, dal momento che avevano recintato, ma questo era aperto e nessuno mi aveva risposto… E quindi entrai, vidi le tre buche e dissi: “Mamma mia, ma questa è la tomba di Sidoti”. La più lunga era la sua, era un uomo alto. Una cosa incredibile! E poi le ossa sono state ritrovate in un modo incredibile, perché nessuno avrebbe mai pensato che con questi lavori si sarebbero rinvenute. Quando ho visto la tomba ho detto: “Preghiamo, perché questa è la tomba dove è stato sepolto don Sidoti”. E abbiamo pregato insieme. Ho cominciato a diffondere la notizia, a richiamare l’interesse della gente. Sono contento, perché nel 1700 tutti erano scomparsi… Non c’era più neanche un prete in Giappone! Non c’era un sacerdote! Lui – l’unico, l’unico, lui, italiano di Palermo – una cosa incredibile, mamma mia!

D. – Don Sidoti, siciliano, passa per Roma, Manila, e poi il Giappone. È considerato l’ultimo missionario del Sol Levante…

R. – Nel senso che prima di lui, nel 1650-60 arrivarono dei missionari che furono subito presi. E dopo di lui non è entrato più nessuno fino ai tempi delle missioni estere di Parigi, nel 1860 circa.

D. – L'Abate Sidoti è stato sempre erroneamente considerato un gesuita…

R. – Non lo è assolutamente. Ieri ha parlato il prof. Koso, rettore dell’Università "Sophia" dei Gesuiti, dicendo che si è trattato di un grande sbaglio, era del clero secolare della diocesi di Palermo.

D. – Grazie a tre interrogatori del consigliere dello shogun, Arai Hakuseki, don Sidoti aiuterà il Giappone a capire meglio l’Europa. Hakuseki trascrisse tutte risposte ed avrebbe voluto liberare il sacerdote, ma perché entrato illegalmente il governo lo condannò ad un carcere “morbido”. Don Sodoti convertirà in carcere una coppia di sposi giapponesi e per questo i tre verranno lasciati morire in tre fosse…

R. – L’hanno tenuto in prigione per più di tre anni. Era una prigione per persone – diciamo così – “altolocate”. E nel frattempo, i due suoi servitori – erano due vecchi sposi – che avevano visto come si comportava don Sidoti gli chiesero di spiegare la fede e… è una storia bellissima… e di essere battezzati. Il governo venne a sapere quanto accaduto, battezzare era considerato un “crimine”, e allora pensò di rendere la prigionia molto più severa. Lo buttarono in un buco di 140 cm per 180 cm di larghezza, profondo più di tre metri. Anche i due sposi furono messi in due buchi. Tutti  sopra di loro avevano un coperchio e ogni giorno ricevevano una scodella di riso acquoso e basta. La prima a morire fu la donna e poco dopo morì anche il marito. Don Sidoti urlava dalla prigione: “Coraggio! Coraggio! Il Paradiso è vicino! Tenete forte la vostra fede!”. Arai Hakuseki, sentendolo urlare in questo modo dopo l’interrogatorio, disse: “E’ impazzito!”. Non poteva capire come una persona potesse morire in quel modo per fede. Per lui era incomprensibile…”
"Un evento straordinario anche in relazione al 150. esimo delle relazioni diplomatiche tra Italia e Giappone" ribadisce l'Ambasciatore italiano a Tokyo, Domenico Giorgi, presente alla cerimonia di ieri insieme alle più importanti testate giornalistiche giapponesi:

R. – Celebriamo quest’anno i 150 anni delle relazioni diplomatiche e commerciali fra i due Paesi e proprio il ritrovamento di questi resti ha una importanza particolare, perché ci rimanda al fatto che in realtà le relazioni umane tra i due Paesi sono più antiche, vale a dire che ci riporta a quello che gli storici giapponesi chiamano il “secolo cristiano” e quindi alle missioni, in particolare dei gesuiti, molti dei quali italiani. Così come vi furono due visite giapponesi in Italia: una promossa dal gesuita padre Alessandro Valignano, con i quattro giovinetti del sud del Giappone, che vennero ricevuti dal Pontefice ed accolti nelle principali città italiane; e poi quella Tsunenaga Hasekura all’inizio del Seicento. Sidoti, temporalmente, viene quasi un secolo dopo questi eventi, ma ci riporta alle radici profonde del primo contatto fra i due Paesi.

D. – Quali, dunque,  le iniziative previste per questo 150.mo, anche alla luce di questa bella scoperta?

R. – Ci saranno diverse iniziative, come la mostra rivolta ad illustrare la missione dei quattro giovani signori feudali del sud del Giappone, nel 1582-83, in cui si ricorderà tutta questa complessa e interessantissima storia. Il ritrovamento di Sidoti ci riapre la possibilità di allargare questo approfondimento fra i due Paesi. Sappiamo che il sindaco di questo municipio di Tokyo-Bunkyo – Tokyo è divisa in 23 città – intenda organizzare una mostra dedicata a Sidoti, a tutto questo, anche perché ieri si è costatato che c’è un notevole interesse da parte della stampa giapponese: tutti i più grandi giornali e le principali televisioni erano presenti…

D. – Lei ha ribadito: “Al di là delle convenienze economiche e diplomatiche, i rapporti sono dati dalle persone”…

R. – La trama di fondo del rapporto tra Italia e Giappone è basata su aspetti di tipo culturale e sulle persone. Le faccio un esempio: subito dopo lo stabilimento delle relazioni diplomatiche, che erano connesse a problemi commerciali ed economici specifici, la prima azione che venne svolta dal governo italiano fu di inviare in Giappone esperti di grande livello nel mondo della cultura: un architetto, uno scultore, un pittore, un incisore… che per anni hanno poi insegnato a Tokyo. I giapponesi hanno percepito l’Italia come la culla della civiltà occidentale.

D. – Quali sono oggi le sfide per l’Italia in Giappone?

R. – Anzitutto, quella di saper continuare a sviluppare, su basi così solide, il patrimonio che le generazioni precedenti hanno costruito, che soprattutto e prima di tutto è basato sulla cultura nei suoi aspetti più ampi e collegata al turismo, allo scambio delle persone, dei giovani, degli studenti. Tutto questo è essenziale e viene prima poi della capacità di sviluppare altre iniziative in altri ambiti.

(Massimiliano Menichetti)

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