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L’enigma di Santa Maria Foris Portas e dei suoi affreschi, oasi senza tempo nel cuore della Lombardia
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31 Luglio 2014

L’enigma di Santa Maria Foris Portas e dei suoi affreschi, oasi senza tempo nel cuore della Lombardia

Con le sue tre absidi a trifoglio ricorda gli impianti orientali. Le pitture murali sono ispirate ai vangeli apocrifi: certo all’epoca non molto diffusi in Italia. Il sito è riconosciuto dal’Unesco.

Arrivare al sito archeologico di Castelseprio, sulle colline varesine, è come immergersi nella atmosfera un po’ irreale di un luogo fuori dal tempo.

Lontano dalle strade trafficate, immerso nel silenzio, il borgo fortificato di origine tardoantica, è posto in posizione strategica sopra un’altura che domina la valle Olona. Raso al suolo da Ottone Visconti nel 1287, rimangono alcuni interessanti ruderi e parte delle mura, visitabili nell’omonimo parco archeologico.

Fu risparmiata dalla distruzione la chiesa di S.Maria, posta fuori le mura, foris portas per l’appunto. La chiesa, isolata sopra una piccola altura, continua a rimanere un enigma per gli studiosi di storia dell’arte medievale.

 
Piccola, costruita con ciottoli di fiume, con tre absidi disposte a trifoglio e atrio, ricorda impianti di tipo orientale.
Ma ciò che soprattutto fa discutere gli studiosi, è il ciclo pittorico degli affreschi, venuti alla luce solo nel 1944,  la cui datazione non è mai stata stabilita con certezza.

Gli affreschi raffigurano episodi della vita di Maria e dell’infanzia di Gesù, tratti dai vangeli apocrifi, molto diffusi nella Chiesa orientale. Il ciclo disposto su due registri con andamento bustrofedico, comincia dall’Annunciazione per proseguire con la Prova delle acque amare, il sogno di Giuseppe, il viaggio a Betlemme, la Natività, l’Annuncio ai pastori, l’Adorazione dei magi , la Presentazione al tempio. In mezzo tra le due finestre dell’abside una grande immagine del Cristo Pantocrator,  e nella controfacciata dell’arco trionfale che immette nell’abside, l’Etimasia, che simboleggia il ritorno di Cristo sulla terra. Alcune parti sono irrimediabilmente andate perdute, ma buona parte delle pitture è tuttora ben visibile.

Lo stile – movimentato e  vivace, con chiaroscuri, figure di scorcio, e con  notazioni paesaggistiche sullo sfondo – ricorda la pittura di tipo classico/ellenizzante.

Ma la datazione degli affreschi è difficilissima, in quanto rimangono un unicum nel panorama dell’arte altomedievale, non essendoci altri cicli pittorici simili cui fare riferimento, né in Lombardia, né nelle province dell’Oriente bizantino.

Gli studiosi su questo punto si dividono, il dibattito è tuttora molto vivace:  alcuni optano per una datazione tra il IX e X secolo, altri preferiscono datare al periodo della rinascenza carolingia tra l’VIII e il IX secolo;  altri ancora, basandosi sul  tondo con  il Cristo Pantocrator – che nella sua rigidità frontale suggerisce forse una mano diversa dal resto degli affreschi – ipotizzano si tratti di  opera di maestranze orientali del VII secolo.  Infine c’è chi  sostiene che ci si trovi di fronte ad un’opera tardo antica a cavallo tra il VI e il VII secolo di influsso classicista.

Insomma, siamo ancora lontani da una risoluzione del problema, e nemmeno i rilievi degli archeologi hanno posto  fine all’annosa questione.

Resta il fatto che il sito, entrato nel patrimonio dell’Unesco dal 2011, merita una visita, sia per la suggestione dei luoghi, sia per l’unicità del complesso architettonico e pittorico.

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