“Scuola che vai, progetto gender che trovi”, sarebbe quasi il caso di dire.
La situazione rispetto ai diversi percorsi che vengono proposti ai nostri bambini e ragazzi è sempre più grave e generalizzata.
Due nostri lettori, genitori di tre figli, ci hanno segnalato il caso della loro bambina di sette anni, iscritta in seconda elementare presso una scuola pubblica della Provincia di Massa Carrara.
Sebbene la scuola sia iniziata da poche settimane, il progetto “Liber* Tutt*” è già entrato nelle scuole, tramite un’esperta – o sedicente tale – incaricata di raccontare delle favole ai bambini. Ovviamente non si tratta di favole tradizionali, evidentemente piene di stereotipi e pregiudizi sessisti, ma di storielle più in linea con il gender style in gran voga in questo momento.
Le due favole in questione sono “Una bambola per Alberto” e “La principessa e il drago”. Fiabe delicatissime, tenerissime, ma interpretabilissime. Soprattutto se vengono raccontate da chi vuole abbattere gli stereotipi di genere. Un principe rammollito che deve essere salvato dalla principessa: situazione in sé del tutto accettabile, se raccontata da una persona di buon senso. Ma letta nell’ambito del progetto “Liber* Tutt*” (qui la prima parte, e qui la seconda), è facile capire che può essere strumentalizzata per promuovere il transgenderismo.
I genitori della bambina hanno avuto modo di accorgersi del percorso realizzato nella scuola della figlia esclusivamente leggendo quanto la bambina aveva scritto sul quaderno d’italiano e sul diario. Nessuna comunicazione preventiva era infatti stata fornita ai genitori dalla scuola, e men che meno una richiesta formale di consenso all’adesione a tale progetto.
I due genitori in questione – per fortuna ben informati sulle (subdole) strategie di diffusione dell’ideologia gender e ben consci del loro diritto/dovere educativo nei confronti dei figli –, venuti a conoscenza del percorso “Liber* Tutt*” si sono quindi mossi cercando di coinvolgere gli altri genitori della classe e cercando di contattare le autorità scolastiche. Su tutti e due i fronti si sono tuttavia scontrati contro un muro d’ignoranza, di relativismo, di finto progressismo… E, per aggiungere al danno anche la beffa, sono divenuti oggetto di commenti pungenti.
In conclusione, non avendo modo di appurare in quale giornata e in quale orario verrà proposto alla figlia il percorso in questione, i genitori si sono visti costretti a ritirare la figlia dall’istituto in cui era iscritta e a mandarla in una scuola paritaria cattolica, affrontando un notevole sacrificio economico. Alla faccia della democrazia e della scuola libera e per tutti…
“Per completezza d’informazione, scrive il genitore che ci ha segnalato il caso, voglio dirvi che in questi giorni in un Istituto Superiore della nostra Provincia, sono cascati addosso ad una malcapitata studentessa, dei calcinacci dal soffitto, causa il cattivo stato di conservazione dell’ edificio scolastico. Alla luce di quanto sopra descritto, non sarebbe meglio impiegare le esigue risorse disponibili per la sicurezza, anziché per il gender? E come mai, se vogliamo che i nostri figli facciano a scuola attività motoria dobbiamo pagare un contributo di 7 euro annui ad alunno ed invece il gender lo paga la Provincia?”
Belle domande, ci pone, questo signore. Come rispondere?
Questo caso ci insegna diverse cose. Innanzitutto che, come genitori, è necessario vigilare molto attentamente sull’educazione dei propri figli: parlando con loro, sfogliando i libri di testo (soprattutto di italiano e di scienze), controllando i compiti che vengono loro assegnati…
In secondo luogo, che è importante essere molto e ben informati sulla questione del gender. Le strategie con cui questa ideologia si sta diffondendo sono infatti sempre più sibilline e difficili da smascherare.
Infine, che è necessario fare rete con chi la pensa come noi. Solo l’unione fa la forza. La nostra piena solidarietà ai genitori di Massa Carrara e a tutti gli altri genitori chiamati a combattere per educare i propri figli secondo i loro valori di riferimento.
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