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L’odio verso la Sindone. Vent’anni fa il misterioso incendio che rischià di distruggere il sacro lino
NEWS 11 Aprile 2017    

L’odio verso la Sindone. Vent’anni fa il misterioso incendio che rischià di distruggere il sacro lino

Corriere della Sera, 13 aprile 1997

Intervista di Michele Brambilla a Vittorio Messori

 

Vittorio Messori è convinto che l’incendio al Duomo di Torino sia doloso, e che sia stato appiccato per distruggere la Sindone. E ha più di un motivo per crederlo, visto che sugli attentati al sacro lenzuolo ha una certa competenza. Era infatti un giovane cronista di Stampa Sera in quell’inverno tra il ’72 e il ’73 quando, più volte, misteriosi piromani cercarono – invano, per fortuna – di dare alle fiamme la Sindone. Passando dai tetti del Palazzo Reale e poi da un lucernario, si calavano al centro della cappella del Guarini, e davano fuoco alle tovaglie che coprivano l’altare. C’era, allora, un rudimentale sistema d’allarme, che suonava nell’appartamento del custode di Palazzo Reale. Il quale, però, prima di arrivare alla cappella, doveva attraversare una dozzina di porte, tutte chiuse con pesanti chiavi medievali: e quando arrivava davanti alla Sindone, i piromani se ne erano già andati. Di quegli attentati, e delle cronache di Messori, c’è traccia addirittura in un romanzo, Attacco alla Sindone, scritto da un giornalista della Gazzetta del Popolo, Ito De Rolandis e pubblicato dalla Sei nel ’78, con buon successo di vendite.

«C’è più di una coincidenza fra quegli “attacchi” e l’incendio di ieri – spiega Messori -. Intanto, tutti quei tentativi di distruggere la Sindone avvennero, come stavolta, in una notte tra il venerdì e il sabato. Inutile ricordare che la notte tra il venerdì e il sabato è la prima notte in cui il corpo di Gesù, prima della Risurrezione, era nel sepolcro, avvolto dalla Sindone». Continua Messori: «E poi anche ieri, guarda caso, le fiamme sarebbero partite proprio dall’altare, come in quegli attentati di 25 anni fa». Ma c’è pure un terzo particolare che fa pensare a un fatto doloso: «Eccezionalmente, ieri sera le sale del Palazzo Reale erano aperte, per il ricevimento che sappiamo. Bene, dal Palazzo Reale alla cappella del Guarini c’è un passaggio che era stato voluto dai Savoia, i quali consideravano la Sindone la “perla” della loro corona. Negli anni degli attentati, quel passaggio era stato murato: ma poi era stato riaperto. Si ha l’impressione, insomma, che il piromane abbia atteso il momento propizio. Non a caso, penso, l’incendio è scoppiato subito dopo la fine del ricevimento». E la tesi del corto circuito? «Difficilmente sostenibile. Mi pare una spiegazione provvisoria che non spiega nulla».

Tre indizi fanno una prova, diceva Agatha Christie. E il movente? Non è difficile da capire, dice Messori: «Non c’è oggetto al mondo che attiri tanto amore, ma anche tanto odio, come la Sindone. C’è tutto quanto possa scatenare la fantasia malata dei maniaci, in quel lenzuolo: c’è Gesù, ci sono i Templari che lo portarono in Europa, ci sono i Crociati, c’è la Scienza… mi diceva la mia amica Emanuela Marinelli, una sindonologa, che è impressionante vedere, su Internet, quante minacce di attentati alla Sindone arrivino ogni giorno». E questo perché, nonostante i test al radiocarbonio di 9 anni fa, secondo i quali la Sindone sarebbe un «falso» medievale, quel lenzuolo rimane un enigma al quale la Scienza non sa dare spiegazioni. Chiarisce Messori: «Nessuno, oggi, cita più quei test, che sono contraddetti da centinaia di altri scienziati. Pensate che è stato proprio un fisico russo ex comunista, già insignito del premio Lenin – parlo di Dmitri Kouznetsov – a dimostrare che un telo sottoposto a un grande calore, quale quello che la Sindone subì durante l’incendio di Chambéry nel 1532, quando fu aggredita dalle fiamme mentre era chiusa in una cassa d’argento, si arricchisce di carbonio, risultando più “giovane”. E gli stessi professori dei test al radiocarbonio di 9 anni fa hanno dovuto riconoscere quanto già detto da scienziati di ogni branca del sapere: e cioè che non c’è alcuna spiegazione al “come” si sia formata un’immagine del genere su quel lenzuolo». Senza contare, ricorda ancora Messori, che l’ipotesi di un falso medievale si scontra invincibilmente con la stessa ragione: «Infatti, l’originalità di quell’immagine, e la sua corrispondenza ai racconti evangelici della Passione, furono scoperti solo 99 anni fa, con la fotografia in negativo dell’avvocato torinese Secondo Pia. Dovremmo dunque immaginare un falsario medievale che aveva intuito che, in futuro sarebbe stata inventata la fotografia, che questa sarebbe stata formata innanzitutto da un negativo, e che nel negativo si sarebbe visto ciò che, a occhio nudo, non si può vedere. Insomma, siamo nella fantascienza più spinta» .

Ora, la Sindone è stata messa al sicuro in un monastero dal cardinal Giovanni Saldarini, arcivescovo di Torino, che su mandato della Chiesa ne è il «custode»: «Trovo questo fatto altamente significativo – dice Messori -. Il predecessore di Saldarini, cardinal Anastasio Ballestrero, trattò la Sindone come uno strofinaccio. Prese per verità assoluta i test al radiocarbonio, e quando li annunciò, in una sconcertante conferenza stampa, ebbe persino battute di spirito di dubbio gusto. Non solo: a chi gli chiedeva se questa datazione medievale creasse problemi pastorali, visto che milioni di persone vanno a venerare la Sindone su invito della Chiesa stessa, rispose di averne ben altri di problemi. Poi arrivò a dire di non aver mai creduto nella Sindone, come reliquia della Passione. “Solo un’icona”, disse. Capite? Un’icona come un quadro qualsiasi, anche se “da venerare”, aggiunse. Il che è assurdo. Perché delle due l’una: o la Sindone è autentica, e allora è una reliquia, e non un’icona . Oppure è un falso ottenuto uccidendo un uomo con le stesse modalità della crocifissione al fine d’ingannare i credenti: e allora è un oggetto sacrilego, altro che “icona da venerare”. Ecco, nel fatto che la Sindone sia ora tornata al sicuro con un suo “custode” vedo una sorta di nemesi, che come credente mi fa molto piacere. Così come trovo commovente che a salvare quel lenzuolo tanto disprezzato da certi gerarchi clericali sia stato un laico, un vigile del fuoco, uno di quei “semplici” di cui parla il Vangelo. Mi ha colpito quando, con le mani insanguinate, ha detto che quella teca che lui ha distrutto a colpi di mazza poteva resistere ai proiettili, ma non alla forza che c’è in quel lenzuolo».