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«M» come Mussolini. Quando l’antifascismo diventa operetta
NEWS 27 Luglio 2022    di Valerio Pece

«M» come Mussolini. Quando l’antifascismo diventa operetta

All’approssimarsi di ogni elezione, puntuali come un orologio svizzero, come le bollette, come il “caldo record”, in coppia come i carabinieri arrivano il “pericolo antifascismo” e “l’emergenza democratica”, che spiegato facile significa: o governiamo noi oppure siete tutti fascisti.

Oggi ad essere scartavetrata è Giorgia Meloni, avanti com’è nei sondaggi. Ieri era stato Matteo Salvini, epigono, secondo MicroMega di quel «fascismo eterno» teorizzato (in modo da avere sempre la pezza pronta) dal sempre sublime Umberto Eco. L’altro ieri era invece toccato a Berlusconi, che per il fondatore dell’Espresso – che da qualche giorno dovrebbe aver incrociato il Sommo Bene dopo aver difeso il bene pubblico a colpi di “moralità” – «somiglia molto a Benito Mussolini, al punto d’essere una sorta di controfigura». Della campagna in corso (appena partita ma destinata a durare fino al 25 settembre, per poi riprendere alla prossima caduta di governo) non c’è nulla di più prevedibile, ma, considerando il momento balneare, neanche nulla di troppo noioso. Il perché è presto detto: dovendo le truppe grattare il fondo, sono costrette a lavorare di fantasia, di visioni, di colori, di estro, creatività folklore. E quindi a regalare perle di umorismo involontario. Un esempio? Su Repubblica, in un articolo del 23 luglio scorso intitolato «Giorgia Meloni, il passato che non passa: l’ombra nera mai fugata», c’era un passaggio che oscillava tra ciò che normalmente fa una maestra in prima elementare e il disturbo paranoico: «[…] Poi snocciola le sue priorità: “Mamma, merito, mare e marchio”. Tutto inizia con la “m”. È il fattore “M”. “M” come Meloni. Ma anche “M” come Mussolini».

RILANCIARE SENZA ARROSSIRE

È un giornalismo letteralmente ridicolo (tra Rodari e Achille Campanile), ma anche straniante. Eppure c’è una straordinaria e fattiva solidarietà tra quei siti e quotidiani che lavorano a testa bassa per fronteggiare il nemico comune. È successo perfino con le “M” di Repubblica, destinate a diventare un classico, difese da Open, giornale online fondato e diretto da Enrico Mentana (figura di punta di un altro fulgido esempio di imparzialità: La7). Riguardo alla Presidente di Fratelli d’Italia, costretta a mettersi sullo stesso livello in una corsa al ribasso senza fine («La lettera M è fascista, chi ha il cognome che inizia per M si rifà a Mussolini. Oddio, è un casino. E adesso che facciamo con il Ministro Messa o col Presidente Mattarella?»), Open, tentando di rovesciare le carte, dipinge una Meloni che, nell’ordine, «va all’attacco sul “pericolo fascismo”» (non è che per caso stesse semplicemente rispondendo a un gratuitissimo attacco?); il cui «obiettivo è la Repubblica» (non quello di togliersi di dosso qualche grammo di fango?); che «mette alla berlina un articolo a firma di Paolo Berizzi» (non è che alla berlina ci si è messo da solo?). Insomma, in una guerra ideologica non si arrossisce, piuttosto si rilancia e si organizzano sponde tra brigate della stessa Armata (Brancaleone).

INCHIESTA SUI SALUTI ROMANI? FATTO

Di antifascismo «ridotto a macchietta» e di «conformismo giornalistico dilagante» ha parlato anche un ironico Pierluigi Battista, giornalista di lungo corso per sedici anni al Corriere della Sera. «L’hanno fatta l’inchiesta sui saluti romani? Bene. Adesso aspetto le coraggiose inchieste di Fanpage sul consigliere comunale del paesello che ha il busto di Mussolini sulla scrivania, chissà quante ne faranno nei prossimi due mesi. Ma davvero pensano che la Meloni abbia pronte le squadracce con l’olio di ricino e il manganello?». Così Battista, che prosegue: «Io sono orgogliosamente antifascista, ma non si può usare l’antifascismo in modo strumentale, solo quando serve, sennò lo si riduce ad una parodia. Come l’Anpi che fa la pastasciutta antifascista. Sono cose che a me danno molto fastidio perché finiscono per ridicolizzare una cosa estremamente seria come l’antifascismo».

LA PASTASCIUTTA ANTIFASCISTA

Ecco, ridicolizzare, rendere ridicolo. O rendersi ridicoli, come con l’altra trovata geniale di questi giorni citata da Battista: la “Pastasciutta Antifascista” dell’Anpi. Lunedì 25 luglio, l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (che ovviamente, per mancanza di materia prima, non rappresenta più neanche lontanamente i combattenti di 80 anni fa, bensì 20enni e 30enni iscritti perché «ora e sempre Resistenza!», ma guai a cambiargli nome), l’Anpi, si diceva, ha organizzato pranzi e cene in ricordo del gesto della Famiglia Cervi, che il 25 luglio 1943 offrì pastasciutta all’intero paese di Campegine, in provincia di Reggio Emilia, per festeggiare l’arresto di Mussolini. Decontestualizzando il fatto, aggiungendo commenti quali «oggi che il fascismo è alle porte è ancora più importante ricordare», un episodio epico, poetico, carico di significato, di memoria, viene corrotto, deturpato, violentato. È un peccato mortale, specie per le nuove generazioni, ma piace così.

NAZISTI MA LETTORI DI KANT

Ci sono poi i paradossi. Per stare solo a questi giorni, se una delle protagoniste di quella stampa progressista che ha colonizzato la televisione italiana parla di «razze superiori» (riferendosi agli occhi azzurri di Brunetta) allora tutto tace, eppure la stessa Lucia Annunziata (parliamo di lei, che non è neanche tra le più infoiate) era già recidiva, avendo bollando le cittadine ucraine residenti nel nostro Paese, in un fuori onda, come «centinaia di migliaia di cameriere e badanti» (mentre, non pago, Antonio Di Bella, consulente Rai per l’intrattenimento, aggiungeva: “e amanti”». Sempre a proposito di Ucraina, quel Pd in salsa draghiana perennemente in assetto da guerra, che riempie il fronte di armi ma che non vuole che gli italiani accendano i condizionatori; capace di scagliarsi con eroica ed identica foga contro la Russia come contro il Centrodestra italiano (Letta minaccia «una campagna casa per casa»), per caso non era lo stesso che per mesi ha canonizzato le vergini del battaglione Azov, quelli che la svastica ce l’hanno tatuata sul braccio, proprio per non essere fraintesi? Già, ma per Repubblica quelli sono lettori di Kant.

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