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«Marianne» (nom de plume) racconta le banlieu dove se sei cristiano è meglio che non lo dai a vedere
news
27 Novembre 2015

«Marianne» (nom de plume) racconta le banlieu dove se sei cristiano è meglio che non lo dai a vedere

di Matteo Orlando e Maria Rocca

 

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«Parigi è davvero invivibile per chi è nato lì. Il parigino conosce certe dinamiche e sa che è una lotta senza fine». Inizia così la sua intervista con LA FEDE QUOTIDIANA, una ex militare francese (che chiameremo Marianne) che, per dare una vita serena al figlioletto, ha deciso, due anni e mezzo fa, di lasciare la capitale francese e cercare una vita migliore qui in Italia (adesso vive in una cittadina del Nord Italia).

Perché ha lasciato la Francia?

«Sono nata a Parigi. Ho studiato lì e già andando a scuola, da piccola, sono cresciuta nella violenza.. Rientrando a casa in metropolitana, spesso scoppiavano delle risse molto violente e le persone erano armate. È molto difficile per la Francia monitorare tutti questi atti di violenza e soprattutto tenerli sotto controllo. Non mi sono mai sentita in sicurezza. Quando ho appreso la notizia che sarei diventa mamma, ero ancora militare nell’Organizzazione delle Nazioni Unite e tornavo da una missione molto impegnativa, di grande prova, al confine tra Libano e Israele. Stavo per ripartire per la Costa d’Avorio, quando ho deciso di cambiare servizio e di occuparmi di una squadra di pronto soccorso e anti-incendio solo in città, così da emigrare verso un posto più tranquillo e crescere mio figlio. Desideravo tanto dargli una “vita serena”, una vita da bambino».

Cosa ci può raccontare delle banlieu?

«Sono stata mandata in missione in una squadra speciale di protezione ai cittadini: lotta anti-violenza e anti-droga. Ho vissuto un anno molto intenso, all’interno di questa missione a Parigi. I cittadini delle banlieu ci sparavano dall’alto dei palazzi, buttavano dalle finestre televisioni, forni a micro-onde e anche vasche da bagno. Sono stata ferita tante volte; è molto difficile per la Polizia e l’Esercito entrare e controllare soprattutto i quartieri sensibili appena fuori Parigi».

Ha mai assistito a violenze motivate da fondamentalismi religiosi?

«Sì, durante la missione».

In Francia che genere di convivenza tra i diversi fedeli delle varie religioni ha riscontrato?

«Dato che la Francia ha scelto la laicità, conta la discrezione. Va tutto bene se essa viene praticata. È sconsigliato manifestare troppo i segni della propria religione; se questo viene rispettato, la convivenza è abbastanza tranquilla. Come dicevo conta la discrezione e il rispetto della libertà dell’altro».

Che rapporto ha con la fede cattolica? Quando viveva in Francia, riusciva a vivere bene il suo cattolicesimo?

«Sono cattolica praticante da due anni e mezzo. Adesso che vivo in Italia, la prima cosa che cerco di fare quando periodicamente ritorno in Francia è fare comunità; ciò avviene in qualsiasi Chiesa mi ritrovi. In Italia vivo molto bene la mia fede. Mi sento libera e serena; non ci sono paragoni con la Francia. Faccio parte dell’Ordine Francescano Secolare e poter praticare la propria religione nella più grande libertà e fraternità cambia la vita. Non penso che si potrebbe vivere la stessa cosa in Francia. Qui sono protetta; mio figlio oggi ha cinque anni e crescere nella Chiesa è stata ed è la cosa più bella che potevo dargli, dopo la vita».

 

 

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