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Messori: oggi serve l’apologetica, non il ‘teologicamente corretto’. Il modello? Gesù con i discepoli di Emmaus
NEWS 5 Marzo 2016    

Messori: oggi serve l’apologetica, non il ‘teologicamente corretto’. Il modello? Gesù con i discepoli di Emmaus

di Lorenzo Bertocchi

 

È voce comune che Vittorio Messori sia l’autore che, nel postconcilio, ha riscoperto e rilanciato l’apologetica, una parola che forse a tanti non dice nulla, mentre per altri risulta perfino desueta se non irritante. Anche per questo l'Istituto di Apologetica, fondato da poco a Milano, ha recentemente dato alle stampe un “Dizionario Elementare di Apologetica”, un testo che sta incontrando un ottimo  successo di vendite. Il Dizionario, a cura di Gianpaolo Barra, Mario Iannacone e Marco Respinti, raccoglie 140 voci compilate da 36 esperti, con uno schema molte semplice: definizione, obiezioni, risposte e suggerimenti bibliografici. Le voci vanno dall’aborto, a Giordano Bruno, dal comunismo, alla Cristiada, poi i diritti umani, i fenomeni mistici, la legge naturale, i miracoli, le stimmate di Padre Pio, la Sindone , Inquisizione, crociate  e tanto altro ancora.

Messori, ma cos’è l’apologetica?
L’apologetica è un discorso che, prima di tutto, è a difesa della ragione umana. Prima di essere la difesa dagli argomenti dei non credenti, dalle aggressioni degli avversari della fede cristiana, in particolare cattolica, è la difesa del nostro intelletto. Serve a mostrare, innanzitutto a noi stessi, che il cristiano non è un cretino, come è stato detto da qualcuno. Si tratta, cioè, di esporre le ragioni per credere, mostrandone la fondatezza logica.  Serve a mostrare che c’è un legame stretto tra i due grandi doni che il Creatore ci ha fatto: il primo, appunto, è quello della ragione, che dobbiamo usare fino in fondo proprio per trovare, scoprire e confermare, la verità dell’altro grande dono, che è quello della fede in Gesù Cristo. L’apologetica è difesa della nostra buona reputazione: i cristiani non sono dei visionari. Ma è anche difesa della buona reputazione della Chiesa cattolica perché esamina le accuse che le sono state rivolte per tanti eventi della storia e ricostruisce su documenti e fonti autentiche ciò che è davvero successo. Scoprendo che spesso che le cose non sono andate come proclama  la vulgata laicista.  

Eppure a qualcuno questa disciplina  non piace, perché la ritiene aggressiva…
Specialmente dopo il Vaticano II il termine apologetica ha cominciato a dare  fastidio, soprattutto al clero  “teologicamente corretto”. E anche oggi non piace a preti e teologi sedicenti “adulti”. Negli studi nei seminari  è stata sostituita da quella che chiamano “Teologia fondamentale” che però, volendo essere irenica ed ecumenica all’eccesso, mi pare assai poco efficace. Una cosa però va riconosciuta: la crisi è stata determinata anche da quei cattolici che, soprattutto nell’800, hanno fatto un'apologetica poco rigorosa, nel senso che dava per scontato ciò che non lo era, ed eccessivamente aggressiva. L’apologetica è benefica ma può essere pericolosa, da maneggiare con cura: se non è rigorosa e pacata, può fare più male che bene.

Come spiegare il successo nelle librerie di un testo come il “Dizionario elementare di Apologetica”?

Perché questa benedetta apologetica è sempre stata una necessità, direi fondamentale, del cristianesimo. Nasce con Gesù stesso, sulla via di Emmaus. Il misterioso viandante che accompagna i due discepoli delusi, si rivolge loro dicendo davanti alla loro mestizia: «Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!» Luca poi aggiunge che il pellegrino, incominciando da Mosè e da tutti i profeti, «spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui». Gesù qui, riferendosi alle profezie, usa veri e propri argomenti apologetici. E se l’apologetica risponde al bisogno di raccordare ragione e fede, allora, così come nasce con il Vangelo stesso, deve accompagnare la fede fino al ritorno di Cristo. Il cristiano deve, come si legge nella prima lettera di Pietro, essere sempre pronto a dare ragione della speranza che gli  è stata donata. Il successo di questo Dizionario conferma una simile  necessità.

In un suo libro lei ha riportato una citazione di Leo Moulin che parlava del capolavoro della propaganda anticristiana raggiunto nel paralizzare i cattolici in una autocritica masochista.  

Quella considerazione il mio amico Moulin, docente all’università di Bruxelles, me la fece durante un viaggio. I cattolici sono stati paralizzati in un’autocritica masochistica proprio perché gli era stata tolta l’apologetica. In fondo le obiezioni contro la fede si riducono a tre: la negazione di Dio, la negazione della verità dei Vangeli e la critica spesso “taroccata” e sommaria  della Chiesa Cattolica. E allora, siccome nessuno ha più spiegato ai cattolici che è possibile con la ragione stessa arrivare all’intuizione di un Dio creatore, che è possibile mostrare che le basi storiche del Vangelo sono solide e sicure, e che molte delle vicende che si raccontano sulla storia della Chiesa sono bufale o deformazioni, o pretesti polemici, ecco che il disagio e persino  la vergogna sono nati nel cuore e nella mente di tanti cattolici. Di qui all’autocritica masochistica di cui parlava Moulin il passo, purtroppo, è molto breve.

Lei viene spesso indicato (lo dicevamo all’inizio) come l’autore che ha “rivitalizzato” l’apologetica. Come è avvenuto?

Il mio primo libro, Ipotesi su Gesù, è apparso nel 1976, durante quelli che possiamo definire gli anni di piombo della Chiesa. Gli anni in cui Paolo VI parlava addirittura di un «fumo di Satana» entrato nei sacri palazzi e di «un pensiero non cattolico che stava diventando egemone anche fra cattolici». Ero da poco convertito e pressoché sconosciuto per il mondo cattolico. Anche per questo  tutti, a cominciare da me, rimasero sorpresi dalla diffusione impressionante, nel mondo intero, di quel libro. Diffusione  che, tra l’altro, continua ancora oggi. Questo riscontro impensato  è dato dal fatto che probabilmente quel libro rispondeva ad una domanda che non trovava risposta: la domanda dei credenti che si chiedevano se fosse ancora possibile credere senza rinnegare la ragione, e quella dei non credenti che si chiedevano come mai ci fosse ancora qualcuno che prendeva sul serio i Vangeli. Dopo il Concilio si era fatto un vuoto, si battagliava sulle riforme dell’istituzione ecclesiale ma non ci si interrogava sulla fede. C’era, lo ripeto, nel mondo cattolico, una grande domanda che non trovava offerta editoriale. E questa venne, a sorpresa  anche sua, da un ancor giovane redattore, al suo primo libro, del  quotidiano degli Agnelli, con un direttore ebreo, un vice direttore famoso anticlericale e una redazione in gran parte laicista e spesso massonica… Se avessi voluto fare carriera a La Stampa, essere l’autore di Ipotesi su Gesù (libro per il quale io stesso chiesi l’imprimatur, per garanzia mia e del lettore e che volli fare editare  dai miei amici salesiani della SEI) era l’ultima  delle benemerenze…

S. Giovanni Paolo II, nel 2002, disse che «abbiamo bisogno di una nuova apologetica», cioè di un nuovo modo di difendere e promuovere il Vangelo. Cosa significa oggi?
L’apologeta deve saper leggere i segni dei tempi. Oggi, per esempio, vi sono realtà che sul piano ragionevole vanno contrastate e che erano impensabili nell’800, o nel primo ‘900, ad esempio la difesa di una legge naturale di fronte ad istanze come quella delle adozioni per le coppie omosessuali, o l’eutanasia. La necessità di una «nuova apologetica» di cui parlava san Giovanni Paolo II è una verità sempre valida, perché l’apologetica, in certo senso, deve essere sempre “nuova”, ovvero noi non sappiamo quali potranno essere gli errori portati avanti da una certa cultura tra trenta o cinquanta anni. Anche se, intendiamoci, ci sono domande e dubbi che accompagnano ogni generazione e che dunque, esigono sempre una risposta. In ogni caso, credo proprio  che consultare il neonato  “Dizionario elementare di apologetica” possa  aiutare noi credenti  spesso impegnati in contestazioni al contempo vecchie e nuove.