Io comunque, normalmente, mi porto avanti. Arrivo già ansiata. Parto preventivamente con una dose di ansia a caso e me tengo in borsa pronta per essere usata alla prima occasione utile, la porto ovunque, non è necessario avere un motivo particolare, o meglio c’è sempre un buon motivo per essere in ansia e se non c’è basta accendere la Tv, o aprire lo smartphone e massicce dosi di ansia verranno generosamente profuse a chi ne è rimasto incredibilmente privo. L’ansia è in trending topic per l’uomo contemporaneo (e soprattutto la donna) ormai da diversi anni, tanto da essere diventato pure un verbo, ansiare, appunto, solitamente declinato in forma imperativa negativa: “non mi ansiare!”.
Non credo che la Crusca approverebbe, nonostante abbia sdoganato blastare, ma il termine non ha bisogno di spiegazioni. Malessere, preoccupazione che paralizza, senso di oppressione che poi può sfociare in varianti e sottovarianti (altro che Omicron) che rendono la vita un percorso ad ostacoli di fronte a cui spesso si è tentati di alzare bandiera bianca. E così spopolano in rete – e non solo – i rimedi più efficaci per affrontare questo male di vivere: la mindfulness, il pilates, lo yoga, il thai chi, i fiori di bach, la dieta keto, la dieta paleo, la dieta non dieta, la fitoterapia, la riflessologia, la medicina cinese, la skin care coreana, le campane tibetane, il life coach cubano.
Se questi rimedi con voi funzionano, complimenti, avete fatto bingo, potete aspirare ad essere il nuovo Allen Carr e scrivere «È facile smettere di avere l’ansia, se sai come farlo», su di me invece non funziona. Una delle cose che invece mi ha sempre molto convinto, sulla fase anamnesi, è la lettura di don Vincent Nagle, sacerdote californiano della Fraternità di San Carlo Borromeo in missione della ansiotica Milano «Normalmente i nostri problemi derivano da un fatto molto semplice, ossia che noi non accettiamo la realtà, o parte di essa». Sì, la realtà, quella che Chesteron chiama «questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto».
Don Vincent lo ha messo anche nero su bianco: «Abbiamo buoni motivi per essere in conflitto con la realtà, in quanto la realtà sta solo aspettando il momento giusto per ucciderci tutti quanti, e prima di allora fa si che soffriamo enormemente». Non troppo simpatica come diagnosi, ma decisamente vera. E stampata nella prefazione di un libro pensato per chi oltre alla diagnosi, cerca una via d’uscita dal tunnel non avendo molte intenzioni di arredarlo. Così ho deciso di rivolgermi a quello che considero uno delle autorità massime in materia, Roberto Marchesini, psicologo, psicoterapeuta, conoscitore profondo dell’animo umano.
«Dobbiamo parlare di ansia, mi devi dire se se ne può uscire e che c’entra Dio in tutta questa storia». La risposta è un libro di 108 pagine pubblicato dal Timone dal titolo «Mio Dio che ansia! – Come vincere la paura di non farcela». Odio gli spoiler, ma siccome sono una donna non so trattenermi (se fossimo discrete forse staremmo ancora aspettando la notizia della Resurrezione) e vi dico che sì, c’è il lieto fine, si può affrontare l’ansia, la si può anche vincere, e con essa le dipendenze, le ossessioni e tante altre ferite che prendono talvolta la forma di patologie.
Scrive Marchesini, citando Rudolf Allers, l’unico collaboratore cattolico di Freud, «“Al di là del nevrotico, c’è solo il santo”, la piena salute psichica coincide dunque con la santità. Potremmo anzi definire il grado di sofferenza di una persona con la misura della divaricazione tra la sua vocazione e la sua vita attuale». Il volume è un viaggio, un percorso che parte dalla conoscenza di noi stessi, ci fa alzare gli occhi al cielo e riconcilia con quella realtà che a tratti ci suscita solo ribellione. Dentro non ci sono soltanto i consigli pratici da cui partire, ma le dritte sulle figure da cui vale la pena farsi accompagnare e soprattutto il passo da tenere per arrivare là dove il Creatore del mondo ci ha pensati da sempre.
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