Papa
Mons. Paglia e la L. 194 che diventa un "pilastro" della vita sociale
Intervenuto a Rai3 il Presidente della Pontificia accademia per la vita dice che la legge per l'aborto vigente in Italia è «un pilastro della nostra vita sociale». Ieri una nota del suo portavoce precisa che le critiche estrapolano dal contesto, ma «il pilastro» è duro da rimuovere
30 Agosto 2022 - 00:10

- il termine ‘pilastro’ ha un suo senso obiettivo e inequivoco, soprattutto se correlato alla ‘vita sociale’, e rinvia a un elemento basilare, che assicura continuità e stabilità a un sistema, e si associa a un giudizio positivo, almeno nel senso della preservazione di quel che il ‘pilastro’ regge. In tal senso, con riferimento a un complesso di norme, ha carattere di ‘pilastro’ la Costituzione della Repubblica. Definire ‘pilastro’ la 194 provoca quanto meno disorientamento di giudizio;
- si può convenire sulla difficoltà, al momento, di rettificare la 194 nella direzione di una maggiore tutela della vita – essendo oggi elevato in Parlamento il rischio di una sua modifica peggiorativa -, ma questo non significa darla per irreversibile. La recente sentenza Dobbs v. Jackson della Corte Suprema USA non è frutto del caso, ma della ferma convinzione dei movimenti pro life americani che la Roe v. Wade del 1973 non fosse un ‘pilastro della vita civile’, e del lavoro da essi svolto in 50 anni nelle università, nella giurisdizione, nella politica. La tiepidezza con cui quella sentenza è stata accolta in Italia anche in ambienti ecclesiali e teoricamente pro file conferma quanto da noi si sia distanti dall’obiettivo;
- eppure la non rassegnazione della Chiesa italiana alla presunta irreversibilità della 194 è attestata dall’aver fissato alla prima domenica di febbraio la ‘giornata per la vita’, a partire dal 1979, proprio pochi mesi dopo l’approvazione della legge;
- si può altresì convenire con l’esigenza che la 194 sia finalmente attuata alla parte c.d. della dissuasione/prevenzione. Ma insistere su questo tasto era doveroso nel 1978; a 44 anni dall’approvazione della legge e dalla continuativa disapplicazione del co. 1 dell’art. 5, fa apparire quanto meno ingenui per almeno due motivi: 1) fin da subito è emerso che se per l’ivg è sufficiente il certificato che attesta la gravidanza, quanto previsto dalla norma è mera ipocrisia; 2) il funzionamento della prevenzione dipende da una adeguata copertura finanziaria, che renda concreto per la donna “aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero” all’aborto, e tale copertura è sempre mancata, a conferma che non vi è mai stata volontà di realizzarla;
- la vera frontiera del momento è ciò che viene permesso, perfino con decreti ministeriali, “oltre la 194”, giungendo per es. alla vendita a minorenni come prodotto da banco della RU486. Dunque, il richiamo al rispetto di una pur cattiva legge dovrebbe avvenire a fronte della banalizzazione e della privatizzazione dell’ivg ‘in pillole’, e dei correlati rischi per la salute di chi le assume.
Centro studi Rosario Livatino Roma, 29 agosto 2022
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