In occasione dei suoi 65 anni, il vescovo di Ratisbona, monsignor Rudolf Voderholzer, ha rilasciato una lunga intervista al giornale Katholische Sonntagszeitung, intervista che risulta decisamente interessante. Anzitutto per l’intervistato: Voderholzer è infatti un vescovo molto legato alla figura e alla memoria di Joseph Ratzinger, al quale aveva dato ospitalità anche quando, nel 2020, il Papa emerito venne proprio nella sua diocesi a salutare l’anziano fratello malato. In secondo luogo, Voderholzer – che la nostra rivista (qui per abbonarsi) ha avuto l’onore di pubblicare sulle sue pagine – si distinto come un vescovo battagliero, capace di sfidare apertamente la cultura dominante; non è un caso che lo si sia visto tra i vescovi scesi a manifestare, di recente, per la Marcia per la Vita tenutasi a Berlino. Parliamo insomma di un prelato, come si suol dire, “che ci mette la faccia”; il che, in tempi in cui sembra instaurarsi anche una sorta di ecclesialmente corretto, ecco, non pare banale.
L’intervista rilasciata a Katholische Sonntagszeitung è poi interessante, va da sé, per il suo contenuto. Il vescovo di Ratisbona, infatti, ha potuto tracciare un bilancio complessivo della situazione, che certamente non in Germania non è rosea dato che, ha dichiarato, «il numero dei cattolici che definiscono loro stessi come persone che pregano» – e che quindi coltivano concretamente la fede – «si è dimezzato negli ultimi 20 anni. La mancanza di sacerdoti è quindi sintomo di mancanza di fede e di rapporto con Dio». Non sono insomma i religiosi a mancare, avverte il prelato, ma è la vita religiosa stessa, in generale, ad essersi eclissata. Tuttavia, ha aggiunto, «ci sono segnali di speranza. Nel seminario di Ratisbona, sei candidati al sacerdozio della diocesi inizieranno in autunno il loro iter preparatorio. Il sistema di formazione sacerdotale che abbiamo introdotto nella diocesi di Ratisbona – finora unico in Germania, – sembra dare prova della sua validità». La particolarità di questo sistema sta nel non perdere di vista uno studio teologico serio.
Naturalmente, questo non significa neppure trascurare lo slancio pastorale e dell’annuncio cristiano, tanto che Voderholzer dice di «non poter immaginare» l’uno senza l’altro, evidenziando che, su questo, «Papa Benedetto XVI è il mio modello». Tutto ciò comunque nella consapevolezza che il seme della fede, nei più piccoli, dipende primariamente da un fattore: la famiglia. A questo proposito, il vescovo di Ratisbona evidenzia come sia la sua esperienza personale sia il dato sociologico siano concordi. «La mia esperienza – ed è confermata anche empiricamente e scientificamente», ha infatti dichiarato, «è che i genitori e i nonni sono le persone più importanti nella testimonianza e quindi nella trasmissione della fede. Dove vive la Chiesa domestica vivono anche, nell’annuncio e nella carità, la Chiesa parrocchiale e la stessa vita ecclesiale». Ancora, Mons. Voderholzer ha voluto portare quella che è la sua testimonianza nel metodo di dialogo da tenere, oggi, in seno al mondo cattolico.
Un dialogo che, secondo Voderholzer, implica l’apertura, certo, ma non può portare ad alcun cedimento, se l’oggetto del dibattere son questioni fondanti. «Sono aperto a qualsiasi discussione», ha evidenziato il vescovo di Ratisbona, «ma» a volte «non si tratta di avere ragione, bensì di unità nelle questioni importanti della fede, questioni che sono quelle della costituzione della Chiesa, dei sacramenti e, sempre più centrali, le questioni dell’immagine dell’uomo, della creazione dell’uomo come uomo e donna». Come a dire: ben venga il confronto, ci mancherebbe. Ma questo non può portare a negoziare sempre e comunque, perché altrimenti poi non vi sarà più alcun dialogo essendo che, semplicemente, un interlocutore si sarà omologato all’altro; a danno, peraltro, delle «questioni che sono quelle della costituzione della Chiesa». E sarà così la morte stessa del dialogo e, in fondo, della verità per la quale vale la pena tentarlo. (Fonte foto: Facebook/Imagoeconomica)
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