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Mottarone, quando la morte vale meno di un clic
NEWS 17 Giugno 2021    di Raffaella Frullone

Mottarone, quando la morte vale meno di un clic

« In riferimento al servizio mandato in onda dal TG 3 della RAI in data odierna, nel quale sono state trasmesse le immagini estrapolate dall’impianto di videosorveglianza della funivia Stresa-Alpino-Mottarone […] mi preme sottolineare la assoluta inopportunità della pubblicazione di tali riprese, che ritraggono gli ultimi drammatici istanti di vita dei passeggeri della funivia precipitata il 23 maggio scorso sul Mottarone, per il doveroso rispetto che tutti, parti processuali, inquirenti e organi di informazione, siamo tenuti a portare alle vittime, al dolore delle loro famiglie, al cordoglio di una intera comunità. Portare a conoscenza degli indagati e dei loro difensori gli atti del procedimento a loro carico nelle fasi processuali in cui ciò è previsto, non significa, per ciò stesso, autorizzare ed avallare l’indiscriminata divulgazione del loro contenuto agli organi di informazione, soprattutto, come in questo caso, in cui si tratti di immagini dal fortissimo impatto emotivo, oltretutto mai portate a conoscenza neppure dei familiari delle vittime»

Il comunicato stampa della Procura della Repubblica di Verbania è arrivato, come da copione, a saldi finiti. I buoi erano ampiamente già scappati dalla stalla e quando il testo è stato divulgato il video era già stato ripreso da praticamente tutte le principali testate on line e anche dalle più piccole e anonime fonti di informazione. Troppo ghiotta l’occasione di far incetta di clic e fare impennare gli accessi in una giornata di inizio estate senza grandi notizie con cui catturare l’attenzione fugace dello scrollatore medio e quando si riesce, meglio giocare sui colpi sicuri, quelli che vanno subito a segno, come gli ultimi attimi di vita spensierata di un gruppo di turisti tragicamente e prematuramente strappati alle loro famiglie forse con involontario dolo.

Il testo della Procura, che ribadisce l’ovvio, rivela per l’ennesima volta la pressoché totale farsa dei corsi di deontologia che ogni anno i giornalisti devono affrontare, tutti ligi quando si tratta di seguire le lezioni on line, tutti ad assicurarsi di avere i crediti sufficienti per il triennio in corso, ma ormai la deontologia non è solo una parola vuota e finta come poche. Quello che conta è farsi notare, leggere, o anche solo cliccare. E allora via libera alla pornografia del dolore, che fa leva sulla sete morbosa di poter vedere coi propri occhi la morte che si porta via una vita che potrebbe essere la nostra. Oggi è la tragedia del Mottarone, ieri erano le telecamere entrate nei reparti di terapia intensiva Covid a riprendere i corpi nudi di padri, mariti, nonni che combattevano una battaglia decisiva. Ma non sono certo delle novità, basta ricordare gli appostamenti durati mesi dei giornalisti ad Avetrana, Cogne, Brembate Sopra, luoghi tristemente noti perché abitati dalla cronaca nera più atroce e poi teatro di riprese, dirette, cronache sui particolari più morbosi.

Non c’è privacy, non c’è empatia, non c’è rispetto, non c’è pietà ma soprattutto non c’è la domanda di senso: «A che serve?». In tanti comunque, in queste ore, hanno mostrato “sdegno sui social”, come si dice oggi. Sdegno Sì, ma solo per la mancanza di rispetto nei confronti dei familiari delle vittime, che è sacrosanta intendiamoci. Ma prima viene la sacralità di quelle vite stesse, e del momento decisivo e tremendo della loro morte. Ma questo lo si può vedere e onorare solo nell’ottica della vita eterna, non c’è deontologia che tenga.


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