«Il mio primo sentimento è di gratitudine al Signore che ha permesso una cosa grande per la vita della Chiesa italiana e per la vita del popolo italiano». Monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, tra i primissimi vescovi a sostenere l’idea di una manifestazione pubblica a difesa della famiglia e dei bambini, è particolarmente soddisfatto della grande festa della famiglia che si è celebrata sabato 20 giugno in Piazza San Giovanni. Ha seguito tutto il giorno lo svolgersi della manifestazione, stando al telefono con gli amici presenti a Roma. «È una cosa grande che è potuta accadere perché ha trovato un milione di uomini grandi, un milione di cuori grandi, cioè disponibili ad agire senza farsi frenare dalle piccole alchimie delle valutazioni scientifico-politiche».
Una manifestazione preparata in 18 giorni, senza sponsor istituzionali, nel silenzio dei media. C’erano legittimi timori sull’esito e anche sull’efficacia reale dal punto di vista politico.
«Già, come se la grande battaglia di Lepanto fosse stata fatta sulla previsione della vittoria. Fu fatta prevedendo che sarebbe stata una sconfitta. Tutti, dal re di Polonia fino all’ultimo servente di mulo ricevettero la comunione in articulo mortis. O come se quelli che hanno manifestato contro il comunismo nelle piazze di Danzica, di Varsavia, di Cracovia avessero valutato che c’era una certa previsione che il comunismo cadesse. Avessero ragionato come tanti ecclesiastici e uomini di cultura oggi in Italia, avrebbero detto che era inutile fare la manifestazione perché il comunismo non sarebbe caduto. Come invece cadde, anche per queste manifestazioni».
Fortunatamente non sono stati fatti questi calcoli.
«Il popolo giustamente ha seguito l’instinctus fidei, quell’istinto della fede per cui il popolo attese all’uscita i vescovi che partecipavano al Concilio di Efeso del 431 imponendo quasi manu militari la dichiarazione della Madonna come Theotokos, madre di Dio. Ecco questa a me pare la grande esperienza di un popolo cattolico e laico che ritrova il senso della propria dignità, il senso della propria cultura, il senso del proprio servizio al bene comune, per il quale fa un gesto magari piccolo ma che diventa significativo nel contesto della vita sociale».
Non tutti nella Chiesa hanno aderito, ci sono state anche pressioni contrarie.
«Di fronte a questo popolo credo che stia la meschinità di tante valutazioni culturali, politiche, ecclesiastiche che non hanno saputo cogliere la domanda che sale dal basso. Comunque certamente mancavano in piazza cattolici di varia estrazione a cui forse è bastato l’elogio di un difensore appassionato della Chiesa e della libertà quale è Alberto Melloni (cfr. articolo sul Corriere della Sera del 19 giugno, ndr). Ma quando si ricevono elogi di quel tipo lì, se si aguzza bene l’orecchio si sente ancora il tintinnare dei 30 denari».
Qualche polemica c’è stata anche a proposito di certe posizioni nella Conferenza episcopale.
«Credo sia molto importante chiarire che la responsabilità pastorale è esplicitamente delegata agli ordinari, ai singoli vescovi nelle loro diocesi, e non alla Cei. La Cei al massimo può dare direttive che poi sono sottoposte alla discrezionalità degli ordinari locali. Mi sembra quindi giusto dare onore a quel gruppo di cardinali, arcivescovi e vescovi che si sono assunti pienamente la responsabilità di indicazioni a favore della manifestazione. Il popolo, dove è stato guidato, ha trovato il conforto dei pastori e ha saputo utilizzare questo confronto per fare una cosa significativa per sé, per la Chiesa e per la società».
In ogni caso l’impressione avuta sabato in piazza San Giovanni era quella di un popolo che si è autoconvocato, e anche alcuni commentatori hanno dovuto riconoscere questa novità.
«A questo proposito credo che si apra un problema reale, quello della legittimazione dell’autorità. Delle autorità culturali, politiche, sociali e per certi aspetti di certe autorità religiose nei confronti di questo popolo che è avanti. Un popolo che non chiede di essere telecomandato o sostituito nelle decisioni – altrimenti in piazza san Giovanni ci sarebbe stata solo qualche decina di persone -, ma che chiede di essere educato nelle azioni. C’è un impeto di presenza culturale, sociale e politica, di missione ecclesiale che coloro che ai vari livelli hanno una qualche responsabilità devono farsi interrogare. Tutti dobbiamo chiedere a noi stessi e alla nostra coscienza il livello di corrispondenza fra il nostro popolo – quello cristiano anzitutto, ma anche quello laico che ha pure dei riferimenti autorevoli – e coloro che guidano. Perché io ritengo che questa pressione del popolo sulle strutture istituzionali e civili non debba ridursi, non debba rallentare. Certo non si può fare un Family Day ogni anno, però si possono trovare modi e tempi per questa pressione legittimamente democratica».
La politica è stata spiazzata da questo evento, e da parte di chi sta promuovendo la distruzione della famiglia c’è stata una reazione rabbiosa. Abbiamo anche sentito il sottosegretario alla presidenza del Consiglio affermare che si è trattato di «una manifestazione inaccettabile.
«Io non ho il compito di fare osservazioni di carattere politico, e in questi dieci anni di episcopato mi sono rigorosamente attenuto a questa discrezione sulle scelte partitiche. Ma posso dire con molta tranquillità che ho guardato con una certa simpatia i tentativi di riforma dell’attuale presidente del Consiglio perché l’Italia ha veramente bisogno di riforme per uscire da questa situazione stagnante. Ma se dalla presidenza del Consiglio arrivano questo genere di affermazioni che non vengono smentite, allora bisogna dire, caro presidente del Consiglio, per lei è inaccettabile la libertà di espressione, la libertà di cultura, la libertà di proporre lealmente e pacificamente nel contesto sociale posizioni che hanno una loro identità e una loro dignità. Questa è paura della libertà. E come può fidarsi un popolo di un presidente del Consiglio che ha paura della libertà?»
Pierluigi Battista, sul Corriere della Sera, vede il popolo di piazza san Giovanni in contrapposizione al pontificato di Francesco, che – secondo lui – al contrario della piazza non vuole uno scontro con il mondo.
«Come è stato giustamente detto, in tutti gli interventi almeno degli ultimi sei-sette mesi sulla questione famiglia e gender, il Papa non solo è stato chiarissimo ma è stato decisissimo nel chiedere opportuni interventi di presenza della società. Mi dispiace che un giornalista che ho sempre ritenuto serio, arrivi a questi mezzucci che non hanno nessuna consistenza di carattere filologico, scientifico. Bisogna accettare che il popolo italiano, cattolici in maggioranza ma anche molti laici, ha seguito la chiarezza delle posizioni e non le meschinerie e i miscugli di carattere parascientifico. La realtà è questa: un milione di persone ha seguito indicazioni chiare, partendo dalle indicazioni di papa Francesco e seguendo indicazioni non meno chiare di un gruppo significativo – qualitativamente e quantitativamente – di vescovi italiani. Piaccia o no le cose stanno così. Riflettiamo su ciò che c’è e non su ciò che sarebbe stato augurabile che accadesse. Il giornalista informa a partire dalla realtà, non dalle sue farneticazioni».
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