XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B
“È lecito a un marito ripudiare la propria moglie”? questa domanda apparentemente innocente sul divorzio è uno dei tanti modi adoperati dai farisei per mettere alla prova Gesù, per tirarlo in un terreno franoso, per farlo esporre e poi trovare motivo di condanna. È a tema l’uomo nell’intimità della sua casa e della sua famiglia, e proprio laddove l’uomo sperimenta la maggiore intimità è da sempre esposto alla più grande fragilità.
A guardare le nostre assemblee liturgiche questo trinomio famiglia-intimità-fragilità salta agli occhi nella presenza di donne abbandonate, di vedove bianche, di mariti soli, di giovani e bambini che hanno nel cuore una tristezza dovuta alla separazione dei genitori. È di questo disagio che parliamo oggi ed è questo disagio che siamo chiamati a portare nella nostra preghiera.
Gesù chiede di fare riferimento a Mosè e prontamente gli riferiscono la legge con le sue eccezioni. “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre… Dunque l’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto”. Qui Gesù, salvando l’aderenza alla vita di Mosè, che viene incontro alla durezza del cuore del popolo, nello stesso tempo riporta tutto e tutti in alto: al sogno di Dio creatore, che sancisce un’unità che nessuna legge umana può mai cancellare.
Dio ci vuole in una comunione piena con lui e con gli uomini, così ci ha creati e questo desidera per noi, comunione che si realizza in maniera alta nell’unione stabile e fedele tra l’uomo e la donna. C’è nella risposta di Gesù il “principio di realtà” che ci impone di essere aderenti alla storia delle persone spesso dolorosa e contraddittoria, senza rinunciare al “principio ideale” che rimane in alto, luminoso a illuminare la notte di tante contraddizioni e tradimenti.
Tra le tante “relazioni liquide”, stabili o di fatto, gli sposi cristiani debbono risplendere come astri nella notte dell’inconsistenza e tenere alto lo sguardo per non lasciarsi coinvolgere nella mentalità del secolo. La risposta di Gesù traccia una via di comprensione tra il piano delle leggi umane e gli imperativi della fede che chiamano ad un oltre e più in alto. Imperativi che ci chiedono di rinunciare alle nostre logiche tante volte becere ed inutili per sognare con Dio.
Non tutto ciò che è consentito si deve fare: dobbiamo essere sempre più allenati nel distinguere tra ciò che è legale e ciò che è bene, tra ciò che è possibile perché previsto da una legislazione e ciò che appartiene al patrimonio delle fede che, forse, in passato informava le leggi, ma che oggi deve essere cercato nel sogno del “In principio”.
La scena dei bambini si sposa felicemente con quanto affermato prima nel trinomio famiglia- intimità-fragilità. Questi bambini che sbucano da ogni dove e lasciano i loro giochi per entrare nell’abbraccio di Gesù, nonostante il cordone di sicurezza dei dodici, cercano rifugio ed escono dai vicoli della storia per dire: “E noi?” “Sì, bambini, perdonateci! Noi grandi così abili nel ferirci con cocci di bottiglia nelle battaglie dell’intimità, non abbiamo attenzione sufficiente alla vostra fragilità e alla vostra voglia di sicurezza e di protezione. Mentre noi alziamo la voce, voi vi tappate le orecchie nei vostri lettini colorati per dirci che la verità è il sogno del Creatore e non ciò che infanghiamo con i nostri egoismi, le nostre pretese, le nostre durezze, la nostra mancanza di dialogo.
Dobbiamo imparare da voi, a fidarci, ad affidarci, ad ascoltare incantati le fiabe, ad avere fede in Dio che ci canta la storia della salvezza, che sogna per noi e con noi la santità.
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