di Flora Crescini
Viene tradotto, per la prima volta, da Marco Settimini L’arazzo di santa Genoveffa e di Giovanna d’Arco di Charles Péguy (edizioni Marietti; opera di poesia in verso alessandrino «della strofa di quattro o otto versi, d’andamento narrativo e percussivo, che obbliga il traduttore a una performance notevole» (dalla prefazione di Davide Rondoni).
Due figure femminili, due sante protettrici di Parigi, «città intollerante eppur libertaria», alle quali Péguy chiede di proteggere il bel popolo di Francia dai fumi di Satana, riscontrabili nella «troppo matura aridità della vecchia devota», dalla «pena immutabile nel bel mezzo della sorte», «dall’anima asservita», nei «cuori complicati come labirinti». Péguy si rivela geniale nel comprendere che le armi di Gesù e quelle di Satana sono le stesse. Di fronte al peccato originale, per esempio, il male ci vuole deportare nella sua scienza; Gesù, invece, «nel nostro sconforto… ci riporta al primo paradiso e… ci apporta il perdono del padre suo e… ci porta all’ultimo paradiso», strappandoci via dall’esilio del peccato «verso ciò che solo importa, ed è la nostra salvezza».
Se gli strumenti di Satana e di Cristo sono gli stessi, non si può però parlare di un combattimento ad armi pari, perché diversa è la radice della loro lotta. Quella del male proviene da un vuoto risentito, da un «disagio rimuginato», dall’odio verso il creatore; la lotta che Gesù ingaggia ha invece come origine il Padre, e come fine per l’uomo «il corpo glorioso, non solo il salvarsi la vita», ossia la partecipazione piena alla vita divina. Ecco cos’è la salvezza.
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