Siamo in una scuola pubblica elementare, non a Pioltello, comune alle porte di Milano, ma a Francoforte, città occidentale della Germania con una popolazione di oltre 750.000 abitanti che ospita circa 100.000 musulmani. Agli alunni di quinta è stato vietato di bere in classe perché tre bambini musulmani stavano digiunando per il Ramadan.
A riportare la notizia è stato il quotidiano tedesco NiUS al quale il padre di una bambina frequentante quella classe ha riferito: «A cena discutiamo sempre di come è andata la giornata. Ho chiesto a mia figlia cosa stesse succedendo a scuola. Ci ha detto che due insegnanti avevano proibito agli studenti di bere in classe perché tre dei 27 bambini stavano digiunando. Normalmente i bambini hanno le bottiglie d’acqua sul tavolo e se hanno sete possono bere in classe». Il padre ha continuato: «Abbiamo trovato questo racconto strano. Innanzitutto, i bambini di quinta elementare hanno tra i 10 e gli 11 anni. Anche per i musulmani religiosi il comandamento del digiuno si applica solo a partire dai 14 anni. E il fatto che 24 bambini debbano prendere in considerazione tre bambini quando si tratta di bisogni fisici di base è un intervento strano».
Stando al racconto della bambina, il divieto dei due insegnanti non sembra provenire da nessuna regola scolastica ufficiale, dato che in altre classi era stato permessi ai bambini di bere come al solito. È stata inoltrata una richiesta di informazioni alla scuola, ma fino ad oggi ancora non c’è stata riposta. Forse c’era da aspettarselo dopo che per la prima volta in Germania insieme alla città di Colonia anche Francoforte si è addobbata di luminarie con stelle, lanterne e mezzelune a mo’ di mercatini di Natale con la scritta “Happy Ramadan”. Il sindaco Nargess Eskandari-Gruenberg lo ha definito un «bel gesto» che rappresenta «la coesistenza pacifica di tutte le persone a Francoforte».
L’idea è venuta dal consigliere comunale Omar Shehata, dal Partito Socialdemocratico del cancelliere Olaf Scholz che ha detto al giornale Frankfurter Allgemeine di essere stato ispirato da un’installazione simile al Piccadilly Circus di Londra dell’anno scorso. Secondo quanto riferito, le luci del Ramadan sono costate alla città tra 50.000 e 100.000 euro – per fare un confronto, le luci di Natale a Francoforte sono costate 75.000 euro, ha riferito Bild. Già l’anno scorso, sotto la guida dei Verdi, della Spd e del Dipartimento verde per la diversità e l’antidiscriminazione, la direzione della città di Francoforte aveva portato una mozione contro i voti della Cdu attraverso il parlamento per appendere per la prima volta un’illuminazione per il Ramadan.
Il «bel gesto» del sindaco non è piaciuto proprio a tutti, alla faccia dell’inclusività. Un sondaggio d’opinione Rtl, che ha visto la partecipazione di circa 45.500 persone, ha dimostrato che il malcontento è diffusissimo: il 92% degli intervistati si oppone fermamente all’illuminazione, dichiarando “No, lo trovo inappropriato”. Solo il 6% si è espresso a favore dell’illuminazione del Ramadan, mentre un esiguo 2% si è astenuto dal giudizio. Robert Lambrou, un legislatore regionale dell’Assia il cui partito di estrema destra AfD ha cavalcato in alto nei sondaggi d’opinione, ha condannato le decorazioni del Ramadan come un «gesto di sottomissione all’Islam».
I due eventi, quello della scuola di Pioltello, in cui il preside di un’istituto comprensivo statale ha deciso di chiudere il complesso scolastico il 10 aprile, giorno di festa di fine Ramadan, e questo divieto di bere in classe in una scuola elementare di Francoforte, sembrano molto lontani tra di loro. Il primo è stato giustificato per una “ragione pratica”, la scuola ha infatti un alto tasso di studenti musulmani e spesso le classi in quel giorno sono semivuote. Il secondo appare a tutti un’esagerazione. Tuttavia, è interessante osservare come in Italia i paladini della laicità quando si tratta di cristianesimo chiedono di levare crocifissi e presepi, ma in nome di una vuota inclusività possono calpestare le proprie radici e cedere il passo al Ramadan. Però poi il Natale deve diventare Festa d’inverno, che suona meglio.
Non sono molto lontani i due eventi, in effetti. È facile pensare che una cultura forzatamente inclusiva che non onora e conosce le proprie radici inchinandosi alle direttive del politically correct lasci che le feste religiose diventino becere strategie di marketing. Con buona pace di chi sosterrebbe che questi fatti «alimentino il dialogo interreligioso», quando non fanno altro che riempire prepotentemente il vuoto lasciato dalla mancanza di identità religiosa dell’Occidente. Un Occidente sempre più sprezzante della sua stessa cultura che baratta a basso costo con immigrazione e demografia.
(Fonte: Pexels.com/Pexels.com)
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