La dichiarazione che tenterebbe di volgere lo sguardo del mondo sul resto dei conflitti preesistenti, oltre a quello tra Russia e Ucraina, proviene dal direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus: «La situazione nel Tigrai è catastrofica, la regione è isolata dal resto del mondo da 500 giorni. L’attenzione del pubblico si concentra principalmente sulla guerra in Ucraina , ma da metà dicembre 2021 nessun aiuto alimentare è stato consegnato nella regione settentrionale dell’Etiopia». Ha poi aggiunto che circa tre quarti delle strutture sanitarie valutate dall’OMS nella regione è stata distrutta e circa 40.000 persone con HIV non stanno ricevendo cure.
«È vero, vengo dal Tigray – ha detto Tedros – e questa crisi colpisce me, la mia famiglia e i miei amici in modo molto personale. Ma come Direttore Generale dell’OMS, ho il dovere di proteggere e promuovere la salute laddove è minacciata. E non c’è luogo al mondo in cui la salute di milioni di persone sia più minacciata che nel Tigrai».
Un altro campanello d’allarme è partito dai vescovi etiopi: «Se la guerra non viene eliminata da noi etiopi, sarà la guerra a cacciare noi etiopi dalla storia». Una guerra che si sta consumando sotto gli occhi di tutti, ma che non ha i riflettori puntati addosso. Il conflitto etiopico è stato denunciato il 7 marzo dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, che ha affermato di «continuare a ricevere segnalazioni di violazioni gravi e su larga scala dei diritti umani nel contesto del conflitto imperversante nelle regioni di Afar e Amhara, nonché nel Tigrai».
Secondo la Bachelet tra il 22 novembre e il 28 febbraio, più di 300 civili sono stati uccisi in una serie di bombardamenti aerei nel nord del Paese. Circa 5.000 persone sono morte per malnutrizione e per mancanza di cure nel Tigrai in solo quattro mesi lo scorso anno, inclusi più di 350 bambini piccoli, afferma un nuovo rapporto dell’ufficio sanitario della regione. Il rapporto pubblicato da Ethiopia Insight, e riferito al periodo tra luglio e ottobre, è il frutto di una valutazione effettuata dalle autorità sanitarie locali in collaborazioni con alcuni gruppi umanitari internazionali. Le morti sono state in gran parte dovute a malnutrizione e malattie infettive. Il sistema sanitario della regione è in gran parte stato distrutto dal conflitto scoppiato nel novembre del 2020, sono riemerse malattie facilmente prevenibili come il morbillo mentre si diffondeva il Covid.
Dal giorno stesso in cui è scoppiata la guerra, la Chiesa cattolica in Etiopia non è rimasta in silenzio. «La Chiesa ha fatto continue dichiarazioni pubbliche denunciando la guerra, la perdita di vite umane, lo sfollamento, la distruzione di beni materiali e tutte le conseguenze della guerra», afferma la Conferenza Episcopale dell’Etiopia in una dichiarazione riportata dall’Agenzia Fides.
La Chiesa cattolica in Etiopia è inoltre mobilitata, insieme alla Chiese sorelle in altre parti del mondo, a soccorrere le popolazioni colpite dalla guerra negli Stati di Tigrai, Amhara, Oromia, Afar e Benishangul Gumuz con generi alimentati e di prima necessità. «Come Vescovi abbiamo espresso più volte di avere il cuore spezzato nel vedere la popolazione soffrire, lasciata senza cibo» sottolineano. «I Vescovi assicurano le loro preghiere e rinnovano il loro appello alla protezione dei diritti naturali e della dignità di ogni essere umano».
Secondo alcuni analisti i ribelli del Tigray, che dal novembre del 2020 sono insorti contro il governo di Adis Abeba, godrebbero di un «aperto favore degli Stati Uniti». Il motivo? «Il governo di Abiy Ahmed ha fatto due cose», si legge sul blog Piccole note, «che non andavano: aveva stipulato un accordo con l’eterna rivale, l’Eritrea, che gli ha attirato il Nobel, ma anche la diffidenza americana, data la nefasta considerazione che Washington (e il Pentagono) ha per Asmara. Ma soprattutto aveva aperto le porte alla cooperazione con la Cina, che vede nell’Etiopia uno snodo strategico per lo sviluppo della Via della Seta in Africa».
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