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Noterelle “fastidiose” intorno alla Giornata contro la violenza sulle donne
NEWS 25 Novembre 2023    di Valerio Pece

Noterelle “fastidiose” intorno alla Giornata contro la violenza sulle donne

«Seguendo la via di mezzo, camminerai sicurissimo» (Ovidio, Metamorfosi). «Quasi in tutto la via di mezzo è la migliore» (Cicerone, Tusculane). Peccato invece che l’odierna e sacrosanta Giornata mondiale contro la violenza sulle donne sia macchiata da estremismi che di mediano hanno poco. Ecco arrivare da Genova le Passeggiate arrabbiate, organizzate dalle transfemministe di “Non una di meno” al grido di «trasformiamo la nostra rabbia in lotta, contro la cultura dello stupro. Insieme siamo marea!». Ecco andare in scena Stai al tuo posto Eva! La colpa di Adamo, spettacolo – si legge nella presentazione – sul «maschilismo tossico, testosteronico, rigido». Non mancano gli isterismi dai tratti blasfemi (o forse solo imbarazzanti) come quello del misticheggiante Adriano Celentano, che affida ai social una nuova versione dell’Ave Maria: «Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi UOMINI assassini».

DON BOSCO E I CORI DELLE LICEALI

Sulla scia di quell’educazione sentimentale (qualsiasi cosa voglia dire) che per Paola Cortellesi dovrebbe prendere il posto del latino ed essere valutata con i voti, anche nelle scuole italiane è tutto un fremere. Nei corridoi di un liceo trentino è già comparsa la Sex Posta, cassetta postale amabilmente corredata dal disegno di una grande vagina. Così, per aprire le danze. «Tutte insieme famo paura», scandiscono a ritmo le ragazze al liceo Tasso di Roma; «l’educazione è cosa del cuore» risponde idealmente Giovanni Bosco. È tra queste due direttrici di marcia che bisogna scegliere. Obbligatoriamente.

IL RUMORE CHE NON PIACE

«Se domani non torno, brucia tutto». Dare un senso al grido nato in terra argentina e ripreso da Elena Cecchettin, sorella di Giulia, si può. Ma è possibile evitare di ridurre la supplica infuocata a una comprensibilissima (quanto sterile) esplosione di rabbia solo a patto di mostrarsi coraggiosi e di fare davvero rumore (quello che al mondo non piace). I modi sono molti. Ad esempio iniziando a “bruciare” quella pornografia a portata di clic e di bambino in cui «la donna è sempre vista come oggetto per lo sfogo degli istinti maschili e soprattutto è DOMINATA» (a scriverlo non è l’Osservatore Romano ma il Corriere della Sera). Si pretendono azioni rapide, immediate, non minuti di silenzio, quelli non si portano più. Benissimo. Qualcuno che non sia Elodie avrebbe voglia di boicottare quella trap che mette in bocca a sedicenni versi quali «sei soltanto mia, mai più di nessuno, odio chi altro ti ha avuta o fatta sentire al sicuro»/«Se domani finisce è un problema»/«Per te vado in galera»? E ancora, chi si impegna per abbattere una volta per tutte quella fintissima “inclusione” che vuole una donna pugile costretta a rinunciare al titolo per non venire massacrata da un uomo che si percepisce donna? Dopo tante, troppe frustrazioni subite da sportive costrette al silenzio, è successo ancora, stavolta alla canadese Katia Bissonnette.  

THERESE HARGOT VS MICHELE SERRA

Chi si prende la briga di dire che il vero e nobile femminismo è ben altro rispetto a  quello bolso e ottocentesco propinato dai media mainstream? «Io non sono il mio corpo», spiega la sessuologa belga Therese Hargot, «è uno slogan autolesionista. Riducendo il corpo ad un oggetto e permettendo quindi la mercificazione di tutto, anche del proprio utero, la frase finisce per rivoltarsi contro la donna stessa». Per combattere il femminicidio, chi ha il coraggio di mettersi di traverso rispetto al vero patriarcato, quello per cui la squallida prassi delle spose-bambine è assolutamente normale, quello che, come con Sana, massacra le donne che vestono all’occidentale e magari, come con Hina, le sotterra nel giardinetto di casa? Anche se a qualche casamatta del potere spiacerà, è tutto collegato. Tutto. Tanto che in questa scandalosa e sartoriale unione di puntini, un vero nemico della pace tra i sessi diventa l’intellettuale liberal che giustifica la morte di una bambina di 8 mesi pur di andar contro un governo (e un ospedale italiano) che voleva salvarla. È il caso del predicozzo manipolatorio di Michele Serra (ossequiatissimo maître à penser per il quale “non una di meno” vale evidentemente a giorni alterni) sul caso della piccola Indi Gregory, giustiziata nel suo miglior interesse.

PACIFICAZIONE O MACERIE

Sempre a proposito di femminicidi, è il Guardian, non il Messaggero di Sant’Antonio, a raccontare di quell’aborto selettivo che in 50 anni ha soppresso 46 milioni di bambine indiane. Stessa cosa in Cina, almeno fino a quando ha fatto comodo. Nessuna campagna si è messa in moto per quelle bambine, nessun rumorino si è alzato. C’è tutto questo e molto altro accanto alle 106 donne uccise in questo 2023 (sempre assolutamente troppe) per mano di uomini vigliacchi. L’auspicio è che oggi – nella speciale Giornata a cui partecipano anche quegli uomini costretti a indossare orecchie d’asino in una contrizione che sembra non avere fine – sulla rabbia prevalgano la Misura, ideale greco, e la Prudenza, virtù cardinale. Soprattutto prevalga e si faccia strada quella volontà di pacificazione ancora tutta da ricostruire, senza la quale rimangono solo macerie. E frustrazioni di ogni genere.

(Fonte: Imagoeconomica)

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