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Paradosso Patriciello
NEWS 19 Marzo 2022    di Valerio Pece

Paradosso Patriciello

Il regalo di compleanno per don Maurizio Patriciello? Il fragore sinistro di una bomba fatta esplodere di notte davanti al cancello della sua parrocchia, a Caivano. L’omaggio arriva dalla camorra, per il sacerdote nient’altro che «una consorteria del male» che «umilia, opprime, fagocita e uccide». Via allora al treno della solidarietà: benissimo il Corriere della Sera che lo intervista (al quotidiano di via Solferino il sacerdote ammetterà: «Ho appena firmato il mio testamento»); benissimo l’appoggio di Giorgia Meloni, certa che «don Maurizio non si farà spaventare», nonché quello di Giuseppe Conte, il quale lunedì scenderà a Caivano; benissimo la telefonata con cui il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso al parroco «solidarietà e vicinanza»; benissimo la Santa Messa che mons. Angelo Spinillo, vescovo di Acerra, andrà a celebrare domenica mattina nella sua parrocchia.

Tutto bello e giusto, a patto che si colga finalmente il paradosso di un sacerdote dalla vocazione adulta (fino a trent’anni caporeparto in un ospedale) che più o meno consciamente molti commentatori cercano di circoscrivere, delimitare, contenere. La realtà (non sempre comoda) è che don Patriciello non è solo il prete che si batte contro i roghi di rifiuti che devastano la “Terra dei fuochi”, e non è neanche soltanto il “prete anticamorra” («formule inutili. Il discorso è molto semplice: un prete predica il bene, l’amore, la solidarietà, la fratellanza. La camorra è male, odio, sopraffazione, violenza. Tutto qui. Non c’è bisogno di definizioni, è già tutto spiegato molto chiaramente», così il sacerdote al Corriere). Per una società bloccata da mille paure, don Maurizio è un dono, è totale libertà di spirito, pura parresìa. Il sacerdote di Frattaminore non ha paura, combatte la criminalità come ogni altra aberrazione morale, ad esempio l’utero in affitto. Non a caso, nel grosso calderone di chi lo odia, albergano i camorristi insieme a non meno violenti squadristi LGBTQ.

Sul suo blog, don Maurizio Patriciello racconta di essere stato letteralmente «lapidato» quando si è detto contrario alla dicitura «genitore 1, genitore 2». Non senza amara ironia, il sacerdote riferisce dell’«ira funesta» del segretario dell’Arcigay di Napoli, per il quale don Patriciello non farebbe altro che «vomitare odio gratuito sui social», tanto da sentire l’esigenza, come leader della sigla arcobaleno, di organizzare «una manifestazione a Caivano», perché – testuale – «gli speculatori sociali e i seminatori di odio come Maurizio Patriciello sono uno dei veri problemi del Paese». Peccato che quando gli attacchi arrivano da soggetti che il pensiero unico ha reso intoccabili, nessun grande giornale si avvicina a chi deve rimanere il prete della “Terra dei fuochi”.

La penna di don Maurizio, sapiente e affilata come una spada a doppio taglio, dopo l’ordigno fatto esplodere lo scorso 12 marzo, ha partorito un pensiero fortissimo, lasciato sui banchi della sua chiesa intitolata a San Paolo Apostolo. Nello scritto – una bomba non meno potente di quella scoppiata alle 3.45 di sabato notte – il prete che piace a intermittenza (e che già per questo incarna un primo paradosso), rivolgendosi ai camorristi che non gli perdonano il suo desiderio di giustizia, ne squaderna un secondo: «Chi si affanna per il bene lo fa anche a favore dell’avversario, dei suoi figli, della sua famiglia». Nel foglietto lasciato ai parrocchiani, don Patriciello prima scopre le carte con cristiana “irrazionalità” («Tu mi uccidi? Io ti amo. Tu vuoi opprimere la mia esistenza? Io lotto per i tuoi diritti. Stai scontando, in carcere, la tua meritata pena? Io vengo a farti visita e resto accanto ai tuoi figli che con la tua scelleratezza hai dovuto abbandonare. Tu piazzi una bomba-carta all’ingresso della mia chiesa per impaurirmi? Io prego per te e per i tuoi cari»), poi, complice un toccante registro francescano, se possibile si fa ancora più prossimo ai malavitosi: «Ecco, fratello camorrista, chi è l’uomo che vuoi spaventare: solo un povero prete, innamorato di Gesù, della sua Chiesa, della sua vocazione. Un povero, ma testardo, prete che non si rassegna a benedire le bare bianche dei giovani ai quali tu hai rovinato la vita. E vorrebbe, in qualche modo, arrivare prima, e riuscire a salvarli».

Questo prete mai sazio di bene, semplice e complesso, colto e popolare, non sembra temere la morte (in questo somiglia tremendamente a don Giuseppe Diana e a don Pino Puglisi) e in un mix di efficacia e carità non manca di dirlo nemmeno ai camorristi: «Io sto qua. Di me sai tutto, nome, cognome, data di nascita – ti sei ricordato del mio compleanno – indirizzo. Sai che ogni sera, d’estate e d’inverno, mi trovi, puntuale, all’Altare. Se vuoi farmi male – ma perché dovresti? – è tanto facile».


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