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Piano quinquennale per la sinicizzazione della Chiesa
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18 Agosto 2018

Piano quinquennale per la sinicizzazione della Chiesa

Roma (AsiaNews) – Tutta la Chiesa di Cina, ufficiale e sotterranea, sta per entrare in una nuova, grande prigione attraverso una parola magica: sinicizzazione, assimilazione alla cultura e alla società cinese e soprattutto sottomissione al Partito. Con essa il Partito comunista cinese (Pcc) e l’Associazione patriottica vengono a mettere sotto controllo non solo le persone (vescovi, sacerdoti, fedeli), ma anche ciò che pensano e il frutto del loro pensiero: documentazioni e interpretazioni storiche, teologia, dottrina sociale, architettura, arte sacra e perfino libri liturgici e liturgia. Insomma, una colonizzazione politica delle menti e delle coscienze dei cattolici cinesi.

Entro la fine di agosto tutte le diocesi della Cina devono presentare all’Associazione patriottica nazionale (Ap) e al Consiglio dei vescovi (Cdv) un piano quinquennale (2018-2022) su come possono attuare la sinicizzazione. Per questo l’Ap e il Cdv hanno stilato un “Piano quinquennale” nazionale, che serva da modello e ispirazione “per portare avanti l’adesione della Chiesa cattolica in Cina verso la sinicizzazione”.

Nel documento di 15 pagine è citata una sola volta la parola “Gesù Cristo”; la parola “vangelo” 4 volte; ma ben 5 volte il termine “Partito comunista” e 15 volte la parola “Associazione patriottica”.

La traduzione inglese di questo Piano quinquennale nazione è stata diffusa dall’agenzia Ucan; il testo in cinese ci è pervenuto dal card. Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong (v. allegato sotto).

Il tema sinicizzazione è stato lanciato da Xi Jinping già nel maggio 2015. Dopo un’analisi della situazione, in cui il Partito comunista cinese teme di fare la fine dell’Urss, il 20 maggio 2015, in un incontro con il Fronte unito, Xi ha decretato che le religioni debbono “sinicizzarsi” se vogliono continuare a vivere in Cina. Stessa cosa è stata ribadita a un incontro nazionale sugli affari religiosi nell’aprile 2016, per poi sfociare nelle sue annotazioni sulle religioni al 19mo Congresso del Pcc, nell’ottobre 2017.

In tutti questi interventi, Xi mette la sinicizzazione in relazione con la sottomissione al Pcc, con l’indipendenza da potenze religiose o politiche estere (compreso il Vaticano), con il potenziamento della “democrazia” nelle decisioni religiose (togliendo alle autorità religiose ogni potere).

Il Piano quinquennale nazionale amplia il campo della sinicizzazione avvolgendo non solo il controllo fisico dei membri della Chiesa, ma anche il controllo culturale, teologico e liturgico.

Nelle 15 pagine originali del documento, suddiviso in 9 capitoli, si affronta non solo il tema della sottomissione al Pcc (n. 2) e all’adesione al socialismo con “caratteristiche cinesi”, ma anche l’integrazione del cattolicesimo con la cultura cinese (n. 4); sviluppare pensieri teologici con caratteristiche cinesi; rileggere la storia della Chiesa in Cina dal punto di vista della sinicizzazione (n. 5); esplorare espressioni liturgiche con elementi cinesi (n. 6); sinicizzare opere architettoniche, pitture e musica sacra (n. 8).

Tutto questo deve avvenire sotto la supervisione della Ap e del Cdv, fondando avanguardie in accademie teologiche, centri di studio storico, istituti di cultura cattolica cinese, centri liturgici, tutti sottomessi alla guida della Ap e del Cdv che esercitano controllo, supervisione, valutazione, per “correggere”, “creare consenso”, “contrastare chi si oppone”.

A questo punto ci si può chiedere: una simile sinicizzazione è ancora cattolica?

Passi il fatto che la Chiesa cattolica in Cina debba “accettare la leadership del Partito comunista cinese” (n. 2, 3): come si potrebbe sfuggire all’onnipotente e onnisciente sistema di controllo e di potere? Ma che dire della “applicazione dei valori al cuore del socialismo” per “andare avanti con l’evangelizzazione e il lavoro pastorale” (n. 2,2)? Che fine fa la domanda di Benedetto XVI nella sua Lettera ai cattolici cinesi, in cui chiedeva la libertà di lavorare nella società adoperandosi “per la giustizia” (Lettera, n. 4)? Che dire poi di questa “sinicizzazione” forzata, in cui un’avanguardia crea modelli che gli altri devono applicare, “contrastando chi si oppone”?

Dal punto di vista cattolico vi sono due problemi: il primo è che – come afferma papa Francesco nell’Evangelii gaudium (nn. 115 e segg) – l’inculturazione è qualcosa affidata a tutto il santo popolo di Dio (e non ad un’avanguardia, per quanto illuminata). Il secondo è che nelle questioni di inculturazione il popolo di Dio va lasciato libero e non costretto.

Il progetto di “sinicizzare” – cioè inserire l’annuncio del Vangelo dentro la cultura cinese – i diversi ambiti della vita della Chiesa è da applaudire e da condividere. Ma va detto che questo impegno è quanto i cristiani stanno cercando di fare dal primo annuncio in Cina (che è quello dei cristiani siriaci del VII secolo, per nulla citati nel documento, che invece cita i gesuiti dell’epoca Ming e Qing).

Un punto controverso è quello sugli edifici cristiani che devono essere sempre più in stile cinese (come aveva consigliato già 100 anni fa il nunzio Celso Costantini). Ma ai cattolici – nella libertà – potrebbero anche piacere edifici di stile occidentale. Prendendo un paragone dal mondo, ai ricchi di Shanghai – e membri del Partito – piacciono i grattacieli ideati da architetti stranieri e perfino gli edifici del Bund, quello delle antiche concessioni, divenuti fra gli edifici più cari della metropoli.

Il documento afferma che occorre “cambiare la visione secondo cui le strutture ecclesiali debbono essere di stile occidentale” (n. 8, 1), ma ammette che si possa costruire strutture in stile cinese e occidentale. Eppure, negli ultimi mesi assistiamo all’iconoclastia di governi locali in Henan, Mongolia interna e Xinjiang dove vengono distrutte chiese e decorazioni perché “occidentali”.

Il timore è che questo slancio verso la sinicizzazione sia solo un incatenamento e un controllo sulle produzioni teologiche, storiche, sociali, artistiche dei cattolici. E che il controllo porti a parzialità è evidente dal fatto che diversi centri culturali cattolici si sono messi a studiare con foga personalità cattoliche e protestanti che hanno condannato o contrastato la colonizzazione giapponese della Cina. Purtroppo non si sente nulla di ricerche sulla vita dei cattolici durante il primo periodo di Mao e durante la Rivoluzione culturale e la persecuzione e assassinio di vescovi, sacerdoti e laici. Da qui a poco potremo avere dei libri di storia debitamente sterilizzati e adattati al volere del principe, secondo la tradizione cinese imperiale.

L’impressione profonda che lascia questo documento è che esso sia solo un manifesto politico e molto poco religioso o teologico. E anche se si cita di continuo “la Ap e il Cdv”, il potere è tutto dalla parte della “Ap”. (fonte: Asianews)

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