All’inizio ci provò il New York Times, nel non lontano agosto del 2020, a promuovere il “poliamore” ultima frontiera del “love is love”, in un articolo in cui la giornalista Debora Spar si augurava niente meno che il crescente progresso delle nuove tecnologie portasse alla nascita di bimbi con tre/quattro genitori e la fine della famiglia naturale. Su questa falsariga si muove ormai, da tempo, Repubblica, il principale giornale progressista italiano che – oltre a vari articoletti sul web in cui racconta storie di infedeltà collocate all’interno di una ormai usuale cornice in cui si tende a riportare la scelta fedifraga come in qualche modo giustificata, se non proprio necessaria – ultimamente si è dato direttamente allo sdoganamento aperto e sfacciato del poliamore, dedicandogli un lungo approfondimento.
E già perché nell’articolone datato uscito ieri l’incipit non lascia spazio a dubbi: il poliamore è una scelta non solo buona, ma – udite udite – addirittura etica perché, quelle che un tempo si chiamavano classicamente “corna” o, quando erano più di una, “cesto di corna” (ci si perdoni il francesismo), ora sono in realtà simbolo di “progresso” e addirittura di “trasparenza dei legami”. Anzi, per la precisione, per Repubblica, il poliamore è «[…] quella forma di relazione romantica o meramente sessuale in cui le persone coinvolte costruiscono legami sentimentali o intimi a lungo termine, con più partner contemporaneamente, alla luce del sole e col consenso di tutti». Manca solo una pacca sulla spalla!
Insomma, saremmo di fronte alla riproposizione in “chiave moderna” della formula del “e vissero tutti felici e contenti”, solo che c’è il trascurabile dettaglio che Biancaneve, nella “società liquida” (tanto denunciata da Bauman che di certo non era un “bigottone”) si sposa con due o più principi, laddove più principi a loro volta sono legati a più Biancaneve, finché non si comprende più chi sono i veri protagonisti della favola e quali di tutti questi, sia il legame esclusivo e significativo che consenta di parlare di “amore”.
Ebbene sì, perché per quanto possa suonare “antico” l’amore vuole l’esclusività: il desiderio di dedicarsi all’altro crescendo insieme, di progettare il futuro, di diventare spalla e appoggio per l’altra persona. E tutto questo lavorando costantemente per mantenere forte la connessione e la coesione emotiva. Almeno questo accade quando la relazione è portata avanti da due persone emotivamente stabili, che non hanno bisogno di altri partner all’esterno come mezzo per colmare i propri vuoti o come punto di sfogo di nodi irrisolti e frustrazioni represse.
L’immagine che ci viene trasmessa dell’amore nel Terzio millennio, invece, fa un attimo rabbrividire e, sempre, Repubblica stavolta nel lontano 2014, ne dava un breve assaggio, ospitando un’intervista all’economista e banchiere francese Jacques Attali, autore anche del libro Amori. Storia del rapporto uomo donna. Attali, che ha ricoperto anche alte cariche di consulenza in diversi governi francesi, sostiene che tra qualche decennio, la monogamia sarà un anacronismo. Di più: «La fedeltà di tipo monogamico sarà considerata un’impostura e un residuo di consuetudini barbare».
Già, perché è ormai considerato mero retaggio di un “barbaro passato” desiderare un rapporto che metta al centro l’altro e la progettualità non «a lungo termine» come declamava Repubblica nell’incipit dell’ articolo uscito ieri, ma del “per sempre”, che richiede fatica, impegno e sacrifico, ma che può essere essa sola, la misura dell’amore. Attali, invece, prosegue prospettando un futuro da incubo che non si capisce bene come possa esaltare alcune menti: «In analogia col networking, ci sarà il netloving: un circuito amoroso nel quale si potranno avere relazioni simultanee e trasparenti con più individui, che a loro volta avranno molti partner. Il poliamore rappresenterà la punta più avanzata delle società sviluppate».
Allora viene da chiedersi se proprio l’esaltazione della libertà a qualunque costo, a cui assistiamo nella nostra società, ci stia rendendo incapaci di scegliere veramente. Perché la libertà si concretizza nella scelta e la scelta, per definizione, implica preferire una cosa in luogo di un’altra, dunque implica la rinuncia verso ciò che si scarta, abbracciando totalmente la scelta primaria. Allora viene da chiedersi se la paura dell’esclusività, legata alla scelta, non nasconda semplicemente un’enorme fragilità di fondo: la paura di “legarci” alle cose, alle situazioni e soprattutto alle persone.
(Fonte foto: Pexels)
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