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Polli, serpenti, agnelli e (p)oche Femen: la deriva bestiale del pensiero unico in presa diretta
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31 Dicembre 2014

Polli, serpenti, agnelli e (p)oche Femen: la deriva bestiale del pensiero unico in presa diretta

La riflessione profonda e intelligente di un nostro gradito lettore che, volentieri e con il suo permesso, proponiamo a tutti

 

di Miguel Cuartero Samperi

 

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Provo una certa reticenza a parlare delle Femen, una sorta di rifiuto, dovuto sostanzialmente al fatto che questo gruppo sovversivo e violento di femministe emancipate non merita la pubblicità che cerca e non merita che io sia veicolo (involontario) delle loro eclatanti azioni pubbliche.

Dopo gli ultimi episodi avvenuti in Italia (prima negli studi televisivi di La7 e poi in Piazza San Pietro, a Roma) ho chiesto, sinceramente, ai miei amici di smettere di pubblicare su Facebook quelle foto così esplicitamente volgari e così offensive della mia (nostra) sensibilità religiosa. Molti, infatti, hanno pensato di “postare” la notizia della dimostrazione blasfema delle Femen per denunciarle, di diffonderne le immagini per mostrare tutto il loro disappunto per l’accaduto; così i miei amici, contrari e furiosi contro le Femen diventavano involontariamente parte del loro staff pubblicitario.

Alcuni hanno rimosso le foto, segno che il buon senso può avere la meglio ed è possibile trovare un con-senso anche nella diversità di opinioni di fronte al dis-senso. Ma la domanda è se dovremmo ignorare completamente, e mai più parlare, di queste signorine, o se forse non sarebbe meglio alzare fermamente la voce affinché questa associazione si disciolga definitivamente. Il punto è capire bene quale strategia utilizzare perché oggi, grazie ai social media e ai social network, siamo tutti un po’ giornalisti e un po’ pubblicisti, un po’ critici e un po’ esperti di (quasi) tutto.

A questo proposito vorrei esporre due pensieri che possano essere uno spunto di riflessione sulla nostra società.

Una prima riflessione la traggo dalla psicologia, quella spiccia, quella di casa, quella “fai-da-te” del papà e della mamma, della nonna e della zia, quella psicologia, appunto, che si basa sull’esperienza e sul buonsenso (averne le tasche piene… saremo ricchi!). Le Femen sono come dei bimbi capricciosi che scalciano, puntano i piedi, diventano duri e rigidi come legni, piangono, urlano finché non vengono ascoltati e finché si acconsenta alle loro richieste (ovviamente non parlo del neonato di 3 o 5 mesi il cui unico modo di comunicare è il pianto all’ennesimo decibel). Papà e mamma sanno bene che il più delle volte il bimbo, quando assume questi atteggiamenti selvatici, da guerra tribale, va ignorato. Lo lasceranno urlare finché finisca il serbatoio di lacrime e quello della voce. Altre volte però il papà dovrà severamente intervenire e richiamare all’ordine il figlio con l’autorità (scusate la parolaccia) che gli è stata concessa come padre, in quanto padre.

Ecco, dunque, un primo approccio possibile alle uscite delle signorine russe. Urlano come (p)oche, scalciano, fanno un baccano enorme e, quando la polizia interviene (violano sempre l’ordine pubblico oltre che la libertà di coscienza dei cittadini, i diritti dei bambini, la quiete pubblica, il rispetto dello stato e della religione) allora diventano dure come tronchi per resistere e non piegarsi. E pretendono di diventare parte lesa per violenze subite come se un bambino chiamasse il telefono azzurro per una correzione paterna.

Facciamole dunque urlare, scalciare e indurirsi, il loro bisogno di sfogo e di richiamare l’attenzione non sempre può divenire un dialogo, per quanto costruttivo possa sembrare ai più generosi: per dialogare servono due parti (adulte), con un minimo sindacale di ragionevolezza, disposte entrambe ad ascoltare ed a rispettare il pensiero dell’interlocutore; condizioni basilari che, in questo caso specifico, non sono presenti. Come dice sempre mio padre (il proverbio è spagnolo): A palabras necias, oídos sordos (“A parole stupide, orecchio sordo”), come a dire: rispondere alle provocazioni è facile, ma non porterà a nulla.

Le Femen, d’altra parte, mi permettono di fare un altro tipo di riflessione e, in questo senso, posso azzardare a dire che un “servizio” lo fanno, un’utilità sociale ce l’hanno: quella di mostrare la barbarie e la deriva bestiale (nel senso di animale) del pensiero unico. Qualcuno potrebbe pensare che questo sia un fenomeno isolato, frutto di un gruppo fondamentalista che nulla ha a che vedere col senso comune del pensiero moderno. Ma, al di là dell’eccentrico modus operandi, le femen non fanno altro che dare voce (e corpo), in modo piuttosto pittoresco, sguaiato e volgare, a quel pensiero che vediamo diffondersi giorno dopo giorno, nella cultura dominante con toni apparentemente più dimessi, rispettosi e meno aggressivi, in una parola: “corretti”.

Ciò che viene spesso proclamato solennemente e con un tono di voce caldo e impostato, viene urlato a squarciagola da queste signorine; ciò che viene presentato con tentativi di ragionamento logico e convincente, le Femen lo affermano con slogan dogmatici, perentori e con aria di infallibilità; ciò che viene difeso dall’intelligenza di una classe in giacca e cravatta, viene proclamato in mutande coi seni al vento. Il punto è capire che l’ideologia di fondo è la stessa anche se la presentazione è diversa, lo stesso regalo incartato in due modi diversi: o elegantemente preparato e quindi appetibilmente desiderabile, oppure incartato talmente male da provocare il rifiuto anche dei benpensanti. Ma la pappa è la stessa.

L’unica utilità sociale delle Femen, e per questo le ringrazio, è questa: dimostrare che dietro alle loro battaglie a favore del libertinismo morale e sessuale, a favore dell’aborto e dell’eutanasia, contro le religioni, contro il Papa, contro qualsiasi autorità morale e contro la possibilità di considerare la vita e la persona umana come una realtà sacra, c’è l’urlo violento di una bestia (ancora) incatenata ma che già parla, comanda e agisce attraverso libri, giornali, televisioni, radio e organi statali.

In effetti, quale differenza c’è tra l’atto (dissacratorio e disgustoso al punto di far venire il voltastomaco ai più sensibili) di strofinarsi un crocefisso tra le natiche e quello (più cortese e delicato) di staccare quello stesso crocefisso dalle pareti delle scuole, degli ospedali e degli uffici pubblici per depositarlo candidamente in un cestino?

Quale distanza corre tra il prendere a bastonate le statue di un Presepe in una piazza centrale di Bruxelles oppure sequestrare il "bambinello" del Presepe del Papa in Piazza San Pietro (come è accaduto qualche giorno fa) e vietare la sacra rappresentazione nelle scuole e negli uffici pubblici con la scusa di voler evitare di ferire le sensibilità straniere e dunque di eliminare i presepi “dalla piazza”?

Quanta differenza ci può essere tra aggredire un cardinale lanciandogli addosso delle mutande insanguinate (l'arcivescovo di madrid, carddinal Antonio María Rouco Varela) o schiaffandogli delle torte in faccia (l'arcivescovo di Bruxelles, cardinal André-Joseph Léonard) e il continuo attacco aprioristico alla credibilità della Chiesa (dal punto di vista storico, morale, economico, sessuale, teologico…) e della gerarchia ecclesiastica?


Cosa distingue l’urlare a squarciagola che l’aborto è un diritto sacrosanto e scriverselo sul seno con espressioni colorite e offensive interrompendo conferenze o sedute del governo, dal diffondere come farmaci pillole abortive, promuovere leggi che, per “proteggere” la donna, difendono l’aborto libero o promuovono le sterilizzazioni di massa nei Paesi del terzo mondo?

In fondo, tra le gesta e i fini delle Femen e le strategie della dittatura del pensiero unico c’è la stessa differenza che corre tra il mangiare una coscia di pollo con forchetta e coltello d’argento, accompagnato da una delicata salsa di yogurt e mandorle, e il mangiarsela con le mani, strappando dall’osso cospicui pezzi di carne e di grasso con gli incisivi, tra le dita unte e viscide. Il pollo che desideri finire sul piatto d’argento piuttosto che tra mani luride e sottili incisivi, non è altro che un pollo e la sua fine sarà comunque ingloriosa.

In questo senso rischiamo di venire fregati anche noi (che temiamo le azioni violente mentre ci facciamo ammagliare dal politically correct) ed è per questo che è necessario essere “astuti come serpenti” e non fessi come polli; è necessario che si alzi la Croce, come segno di una Verità spesso dimenticata e di cui noi (polli, serpenti o agnelli che siamo) facciamo fatica a parlare.

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