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Risponde su gay e terapie: «Dall’omosessualità  si puà uscire». Psicologo sospeso dall’ordine
NEWS 16 Gennaio 2015    

Risponde su gay e terapie: «Dall’omosessualità si puà uscire». Psicologo sospeso dall’ordine

di Luciano Moia

 

Fa lo psicologo da trent’anni. È specializzato in psicoterapia cognitivo comportamentale, ha conseguito sette perfezionamenti universitari e tre master, ha scritto anche saggi e insegnato la materia a cui ha dedicato la vita. Ma secondo il Consiglio dell’ordine degli psicologi della Lombardia ci sarebbero lacune nelle sue conoscenze scientifiche. Tanto gravi da fargli meritare una condanna a tre mesi di sospensione. Non appena l’atto sarà formalizzato non potrà lavorare e dovrà anche cancellare da tutti i siti la pubblicità del suo studio. Vittima del provvedimento è Paolo Zucconi, 64 anni, sposato, due figli, udinese d’origine ma con studio a Milano, zona Loreto. La sua colpa? Il 19 luglio 2013, sul sito 'guida psicologi.it' ha osato rispondere a un visitatore che, non si sa quanto ingenuamente, aveva chiesto: «È possibile uscire dall’omosessualità?».

Zucconi articola la sua risposta citando i protocolli della terapia cognitivo-comportamentale, da tempo utilizzati con successo negli Stati Uniti ma anche in Europa, e spiega che «quando una persona avverta un evidente disagio nel suo comportamento sessuale», è possibile ricorrere a queste terapie. Apriti cielo.

Un collega napoletano chiede immediatamente la rettifica e poi lo denuncia all’ordine. Gli psicologi della Lombardia avviano un procedimento e, dopo un 'processo deontologico' tenutosi a Milano lo scorso 11 dicembre, gli annunciano la punizione: tre mesi senza lavorare.

Zucconi racconta che durante la seduta, lui seduto davanti a quindici colleghi, ha avvertito una grande ostilità ideologica: «Tutto sembrava già preordinato. Ho subìto un lungo interrogatorio tutto giocato sull’efficacia delle cosiddette 'terapie riparative'. Io mi sono limitato a citare la letteratura scientifica sull’argomento, ma ho affermato di non aver mai avuto l’occasione di sperimentarne l’efficacia. Certo, ho ammesso che se un paziente mi chiedesse di essere aiutato, esaminerei il caso e non mi tirerei indietro ». Probabilmente, dice, è la frase che fa scattare la sanzione. 'Sospeso'. L’unanimismo del pensiero unico, quando si parla di identità sessuale, non accetta discussioni. Il terapeuta che devia, anche solo in linea di principio, va criminalizzato e sanzionato.

Il presidente dell’ordine degli psicologi della Lombardia,  Riccardo Bettiga, rigetta però qualsiasi intento persecutorio e sostiene che tutto si è svolto in modo regolare. Rifiuta di entrare nel merito della vicenda – ancora in itinere e quindi a suo dire riservata – spiega che il giudizio è stato limitato agli aspetti deontologici della professione. E, a proposito delle terapie riparative, conferma quanto già dichiarato sul sito professionale. E che cioè «l’ordine degli psicologi della Lombardia difende la libertà dei terapeuti di esplorare senza posizioni pregiudiziali l’orientamento sessuale dei propri clienti, segnalando che qualunque corrente psicoterapeutica mirata a condizionare i propri clienti verso l’eterosessualità o verso l’omosessualità è contraria alla deontologia professionale». Ineccepibile, quando si tratta di 'condizionare'. Ma se è il paziente stesso a chiedere aiuto? Se dichiara di vivere con disagio la propria sfera identitaria e intende verificare le possibilità di rimuovere l’origine del problema? In questo caso le 'terapie riparative' sarebbero lecite? Domande che sembrano destinate a rimanere senza risposta, perché la questione appare comunque sgradita, imbarazzante, politicamente scorretta. Lo specialista che affronta il tema rischia di finire sotto inchiesta. A questo proposito occorre ricordare che già in passato, almeno in due casi, l’ordine degli psicologi della Lombardia ha avviato procedimenti disciplinari contro terapeuti in odore di accogliere pazienti che vivevano con disagio la propria omosessualità. Un altro procedimento è in corso presso l’ordine degli psicologi della Toscana. Ed è noto il fuoco incrociato che si scatenò nel 2008 contro Tonino Cantelmi, presidente degli psichiatri cattolici, per aver sostenuto l’opportunità di affrontare dal punto di vista terapeutico il 'disagio omosessuale'.

Anche in quel caso la lobby seppe muoversi in modo scattante e compatto, con tutto l’armamentario deontologico – e ideologico – del caso. Perché l’intera questione, secondo quanto riferiscono gli specialisti che si sono occupati del tema, sembra fondata su un enorme equivoco. La 'terapia riparativa' non intende affatto 'riparare' l’omosessualità, come fingono di credere gli oltranzisti della sessualità gaia e felice. Ma occuparsi invece di 'riparare' la ferita originaria nella relazione con il padre che, secondo alcuni studiosi, sarebbe all’origine dei disturbi dell’identità sessuale. Tesi discutibile? Benissimo, se ne discuta, si aprano dibattiti, si dia la parola ai sostenitori dell’una e dell’altra posizione. Invece nel 2010, una delibera dell’ordine nazionale degli psicologi, ha vietato sic et simpliciter qualsiasi ricorso alla 'terapia riparativa', con un sillogismo che – a parere di non pochi psicologi – traccia una premessa e arriva a dettare una conclusione apodittica senza dimostrare nulla.

Quando c’è in campo la soggettività della psiche – osservano gli specialisti – non può esistere un 'pensiero unico' e occorre chiedersi allo stesso tempo a quale scientificità si fa riferimento quando si parla di scienze umane. Come è possibile parlare di scientificità in campo psicologico per esempio, quando ci sono non pochi medici che rifiutano di considerare 'scientifica' la psicoterapia? Domande legittime di fronte a un provvedimento come quello inflitto a Paolo Zucconi. Ma anche in riferimento al dibattito, tutto ideologico, scatenatosi in occasione del convegno sulla famiglia promosso dalla Regione. La vicenda dello psicologo 'punito' forse ci aiuta a comprendere meglio quale sia il 'pensiero unico' che soffia sul fuoco di certe questioni e pretende di imporre una visione che è vietato discutere, se non a rischio di finire sul banco degli accusati.