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Samurai di Cristo sugli altari e anche sul grande schermo (con la regia di Martin Scorsese)
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9 Febbraio 2016

Samurai di Cristo sugli altari e anche sul grande schermo (con la regia di Martin Scorsese)

di Marco Respinti

 

I cattolici giapponesi sono una realtà minuscola che viene dalla persecuzione più crudele, ma il Cielo premia chi è fedele. Il 22 gennaio Papa Francesco ha approvato il decreto di beatificazione del Servo di Dio Dom Justo Takayama Ukon (1552?-1616)  e così il “samurai di Cristo”  salirà presto alla gloria degli altari. Per i credenti del Sol Levante è una gioia senza precedenti perché quel grande eroe è l’emblema della nipponicità e al contempo un cristiano esemplare. Quale bandiera migliore per chi ha perseverato nella fede “straniera” senza rinunciare alla propria identità?

Nato di “sangue blu”, battezzato a 12 anni con il nome di Iustus quando il padre si convertì al cattolicesimo, Takayama divenne daimyo (feudatario) del castello di Takatuski e governò da buon cristiano assieme al padre. Ma la vera fede, dapprima bene accolta, venne giudicata una congiura occidentale e quindi perseguitata spietatamente. Takayama rinunciò a tutto, ma non si piegò. Poi nel 1614 il cristianesimo venne bandito dal Paese e Takayama fu espulso, l’8 novembre, con 300 compagni della cattolicissima Nagasaki. Giunto il 21 dicembre a Manila, nelle Filippine, fu accolto trionfalmente dai gesuiti venuti dalle Spagne la cui corona propose subito al samurai cattolico di rovesciare lo shogun. Ma il daimyo era un uomo d’onore e si oppose al progetto. Dopo soli 40 giorni morì di malattia. Il popolo dei kakure kirishitan (i cattolici clandestini giapponesi) lo ha sempre considerato un “martire bianco” e oggi la Chiesa Cattolica dà ragione al popolo.

Il popolo dimenticato dei kirishitan insomma torna, e torna anche per merito del cinema. Martin Scorsese hai infatti completato le riprese a Taiwan dell’annunciatissimo film Silence, interpretato da Andrew Garfield, Adam Driver, Liam Neeson, Tadanobu Asano e Ciarán Hinds. Voci sempre più insistenti lo danno presente alla 66esima edizione del Festival di Berlino, che si terrà nella capitale tedesca dall’11 al 21 febbraio, anche se altri rimandano tutto al Festival di Cannes in maggio.

Sia come sia, sarà un evento memorabile. La storia è quella dell’omonimo romanzo firmato nel 1966 dal controverso scrittore cattolico giapponese Shusaku Endo (1923-1996), tradotto in italiano a Milano come Silenzio da Rusconi nel 1982 e riedito con il medesimo titolo da Corbaccio nel 2013. Nella Nagasaki del 1633, il padre gesuita portoghese Cristóvão Ferreira (1580?-1650), già coraggioso missionario nel pieno della persecuzione, cede alla violenza e rinuncia alla fede. Quando la notizia giunge a Roma, due giovani confratelli, Sebastian Rodrigues e Francisco Garrpe, increduli, si mettono sulle sue tracce. In Giappone si scontrano però con la dura realtà della cristianofobia e del tradimento. Finirà tutto in silenzio, il silenzio sperimentato da Gesù sulla Croce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?».

Una storia vera e drammatica per un film non facile come non certo facile è il romanzo di Endo. Nessuno sa ancora come Scorsese tratterà un argomento tanto delicato tra disperazione e fede. Potrebbe essere l’occasione per un capolavoro, oppure un flop totale. Certo è che il realismo crudo di questa vicenda rosica il famoso cineasta da 25 anni (da tanti sognava infatti di girare Silence), tormentandolo con la domanda chiave di tutto: Dio dov’è?

E così, mentre il pubblico dovrà per forza prendere coscienza di una testimonianza rimossa di martirio, interrogandosi seriamente sul senso della fede qualunque sia l’esito che la pellicola vorrà dare alla storia, la storia correrà il rischio, questa volta sano, di ripetersi. Il dramma dei kirishitan, costretti per secoli a nascondersi come topi in una patria ostile chiusasi ermeticamente a guscio, e la sfida dell’apostasia sono stati i motivi di una continua conversione a Cristo durata tutta l’esistenza terrena del romanziere Endo. Su influsso di Endo, un altro scrittore giapponese, Otohiko Kaga, nato nel 1929, vivente, già docente universitario di Psicologia, si è convertito al cattolicesimo a 58 anni. Memorabile è il suo romanzo storico sulla Seconda guerra mondiale, Ikari no nai fune, del 1982, tradotto in inglese negli Stati Uniti come Riding the East Wind, ma importantissimo è il suo Takayama Ukon, del 1999, tradotto in tedesco e in russo, il romanzo della vita appunto del futuro beato che in quest’“anno giapponese” non mancherà di guardare giù. È così che magari per qualcuno questa storia potrebbe ripetersi, persino attraverso un film.

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