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San Bonifacio vs. Thor, così nacque l’albero di Natale
NEWS 14 Dicembre 2023    di Paola Belletti

San Bonifacio vs. Thor, così nacque l’albero di Natale

L’Avvento è un tempo di attesa e preparazione e si può spendere bene anche raccontando e ascoltando storie. Quella sulla vera origine dell’albero di Natale fa al caso nostro. Intanto non c’è vera opposizione tra presepe e albero, non siamo la versione cattolica e secolare di Coca Cola vs Pespi. Nemmeno la velata (di zucchero) ostilità tra i supporter del Panettone e quelli del Pandoro. Siamo una civiltà piena di storie avvincenti, santi eroi, simboli potenti, i soli ancora a poter dire che Qualcosa da festeggiare c’è eccome. Il primo albero di Natale come lo intendiamo noi, prima ancora che le lucine le accendesse Alexa ad un nostro comando (al terzo, quarto tentativo di sicuro), lo ha inventato e realizzato un vescovo e martire nel 724: si tratta di San Bonifacio 680-754), inglese di nascita e ricordato con gratitudine dalla Chiesa universale come l’Apostolo della Germania.

La sua storia, la sua indole e l’opera di evangelizzazione che ha compiuto sono la cosa più lontana dalla svenevolezza che molti detrattori attribuiscono allo stereotipo del santo cattolico. (Ecco una battaglia contro gli stereotipi che ha senso fare, grazie San Bonifacio et alii). In un bel contributo riproposto su Churchpop, originale di Mountain Catholic, troviamo una gradevole e sintetica versione delle vicende che diedero origine all’abete addobbato che ora scalda tante case nel mondo. Nato intorno al 680 in Inghilterra, Bonifacio entrò in un monastero benedettino prima di essere incaricato dal papa di evangelizzare la Germania moderna, prima come sacerdote e infine come vescovo.

Sotto la protezione di Carlo Martello (quello che fermò i musulmani nella famosa battaglia di Poitiers del 732, per intendersi), Bonifacio viaggiò attraverso tutta la Germania, irrobustendo la fede di quelli che avevano già incontrato l’annuncio cristiano e annunciando la vera salvezza a quelli che ancora erano nell’oscurità della fede pagana, detta così papale papale, come si può fare almeno parlando di Medioevo, quando non si era obbligati a rispettare glossari di parole consentite e galatei impossibili per non rischiare di offendere qualcuno.

Lo stesso Benedetto XVI, che era in debito con lui per aver incontrato la fede cattolica maturata per secoli nella sua terra, ci ricordava in un’udienza generale del 2009 i grandi risultati della sua opera di evangelizzazione, grazie alla «sua instancabile attività, il suo dono per l’organizzazione e il suo carattere adattabile, amichevole, ma fermo». Ecco come viene descritto in un racconto di fine ‘800,  “Il primo albero di Natale” (1897) di Henry Van Dyke: «Che uomo era! Bello e leggero, ma dritto come una lancia e forte come un bastone di quercia. Il suo viso era ancora giovane; la pelle liscia era abbronzata dal vento e dal sole. I suoi occhi grigi, puliti e gentili, lampeggiavano come il fuoco quando parlava delle sue avventure e delle cattive azioni dei falsi sacerdoti con cui litigava».

Ora immaginiamoci un uomo giovane, bello, forte, incurante delle intemperie, virtuoso e tutto teso alla propagazione del Regno di Dio che attraversa foreste, accende fuochi, veglia in preghiera (e a noi invece è toccata l’epoca dei reels con l’hashtag #Jesus su TikTok): eccolo durante uno dei suoi viaggi insieme ad un piccolo gruppo; si trova nella regione della Bassa Assia e siamo intorno al 723. Sapeva di una comunità di pagani vicino a Geismar che, in pieno inverno, avrebbe fatto un sacrificio umano (un bambino, in genere) al dio del tuono Thor (quel Thor!) alla base della loro sacra quercia, la “quercia del tuono”.

Un vescovo amico gli aveva consigliato di distruggere la quercia sia per salvare la vita al bambino, sia per mostrare che di Dio ce n’è uno solo: era certo che nessun fulmine lo avrebbe colpito e Thor se ne sarebbe andato con le ossa e il suo famoso martello rotti. Così avvenne: impugnando il pastorale Bonifacio si avvicinò alla folla pagana che aveva circondato la base della Quercia del Tuono, dicendo al suo gruppo: «Ecco la Quercia del Tuono, e qui la croce di Cristo spezzerà il martello del falso dio, Thor». Il carnefice era vicino al bambino destinato al sacrificio e stava alzando il martello per abbatterlo su di lui, ma mentre stava per sferrare il colpo mortale Bonifacio stese il suo pastorale, lo bloccò e miracolosamente ruppe il grande martello di pietra. Ciò che si narra disse dopo è una meravigliosa sintesi della novità di Cristo: il Figlio di Dio è venuto a salvare tutto, persino il sacrificio, cambiandolo definitivamente, rivelando l’inutilità di ogni sanguinoso sacrificio compiuto dagli uomini:

«Hearken, figli della foresta! Nessun sangue scorrerà questa notte se non quello che la pietà ha tratto dal seno di una madre. Perché questa è la notte della nascita di Cristo, il figlio dell’Onnipotente, il Salvatore dell’umanità.Più bello è di Baldur il Bello, più grande di Odino il Saggio, più gentile di Freya il Buono. Da quando è venuto il sacrificio è finito. L’oscurità, Thor, che hai vanamente chiamato, è morto. Nell’orlo della Niffelheim si perde per sempre. E ora in questa notte di Cristo comincerai a vivere. Questo albero di sangue non scurirà più la tua terra. Nel nome del Signore, lo distruggerò.» Bonifacio prese un’ascia e non solo abbatté la quercia ma, secondo il racconto, con l’aiuto del vento la sradicò del tutto.

Senza perdere altro tempo, consapevole della vastità della messe da raccogliere, Bonifacio riprende il suo viaggio di apostolo e continua a portare l’annuncio di Cristo, unico salvatore, ai popoli germanici. Sui quali da quel momento poteva esercitare un ascendente più forte di prima: erano decisamente persuasi o almeno disposti a sentire cosa avesse da dire uno che, pur avendo abbattuto la quercia di Thor, non era stato annientato dalla rabbiosa potenza del suo tuono. E fu così che, al posto della quercia, Bonifacio scelse un albero che continua ad avere più fortuna di quella: Bonifacio guardò oltre dove si trovava la quercia, indicando un piccolo, modesto abete, dicendo:

«Questo piccolo albero, un giovane figlio della foresta, sarà il tuo albero santo stasera. È il legno della pace… È il segno di una vita infinita, perché le sue foglie sono sempre verdi. Guarda come punta verso l’alto verso il cielo. Che questo sia chiamato l’albero del Cristo-bambino; raccogliti, non nel bosco selvaggio, ma nelle tue case; lì non riparerà azioni di sangue, ma doni amorevoli e riti di gentilezza.»Abbiamo dunque un altro stereotipo da abbattere, magari chiedendo l’intercessione di quel gran santo di Bonifacio: è proprio ai nostri fratelli tedeschi, ingiustamente ritenuti tutto rigore e niente fantasia, che dobbiamo la bellezza e la dolcezza, la magia e il calore di uno dei simboli più belli del Natale. A loro dobbiamo gli addobbi, le lucine, i piccoli assembramenti di pacchi colorati, le caramelle e alcuni canti tra i più belli della tradizione. A Dio e alla sua infinita bontà l’impensabile trovata di regalarci Suo Figlio e in Lui la vita eterna.

Un’ultima nota storica, più recente ma altrettanto gradevole da ricordare intorno alla vasta fortuna dell’Albero di Natale. Fu San Giovanni Paolo II, nel 1982, a dare il via alla tradizione di collocare un abete addobbato in Piazza San Pietro, vicino al presepe.
Quell’abete era un dono di un contadino polacco, che lo trasportò fino a Roma sul suo camion. Da allora in poi, per espresso volere del Santo Padre, puntualmente si ripete la tradizione a ricordo della Natività di Gesù: un presepe viene allestito ai piedi dell’obelisco e alla sua destra viene eretto l’albero di Natale, donato ogni anno da una regione montana diversa dell’Europa.

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