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San Tommaso: un sacrilegio ricevere l’Eucaristia se non si è in grazia di Dio
NEWS 11 Settembre 2016    

San Tommaso: un sacrilegio ricevere l’Eucaristia se non si è in grazia di Dio

da Dialogo sull'Eucaristia (Edizioni Studio Domenicano), di padre Roberto Coggi OP

 

[…] D. Chi si accosta all'Eucaristia riceve quindi dei grandi benefici. Ma chi può accostarsi all'Eucaristia?

R. Qualsiasi battezzato che abbia la retta fede e sia in grazia di Dio. Però gli effetti sono proporzionati alle sue disposizioni: se uno si accosta alla comunione con tiepidezza riceve poco. Se uno si accosta con fervore riceve molto.       

D. Si sente dire spesso che l'Eucaristia è il "pane degli angeli ". Che cosa significa?

R. Propriamente parlando, non si può dire che gli angeli si nutrano dell'Eucaristia, perché questa è un sacramento, e i sacramenti non sono stati istituiti per gli angeli. Tuttavia, come già abbiamo detto più volte, l'Eucaristia è un sacramento speciale, perché contiene realmente e sostanzialmente Gesù Cristo vivo e vero. Ora, gli angeli in cielo vedono Gesù risorto e glorioso, quello stesso Gesù che è presente nell'Eucaristia. Questa visione caratteristica del cielo, del Paradiso, può essere considerata come un nutrirsi spiritualmente di Gesù; anzi, è un nutrirsi di Lui in un modo più perfetto di quello sacramentale. Quindi in questo senso si può dire che gli angeli si nutrono di Colui che è contenuto nell'Eucaristia in un modo più perfetto di come ce ne nutriamo noi nel sacramento. Per questo l'Eucaristia viene detta "il pane degli angeli" (S. T III, q. 80, a. 2).

D. Hai detto che per ricevere l'Eucaristia bisogna essere in grazia di Dio. E se la ricevesse un peccatore?

R. Il peccatore si ciberebbe del sacramento, ma in modo solo sacramentale, non spirituale. Cioè non ne riceverebbe alcun frutto. Anzi, commetterebbe una profanazione, un gravissimo sacrilegio (S. T. III, q. 80, a. 3).

D. Profanazione, gravissimo sacrilegio! Che parole forti! Ricevere l'Eucaristia in peccato mortale è dunque il più grave dei peccati?

R. Sentiamo che cosa ci dice S. Tommaso a questo proposito (S. T III, q. 80, a. 5):

«In due modi un peccato può essere più grave di un altro: primo, di per sé; secondo, per le circostanze. Di per sé secondo la sua natura, che viene desunta dall'oggetto. E sotto questo aspetto quanto più grande è ciò contro cui si pecca, tanto più grave è il peccato. E poiché la divinità di Cristo è superiore alla sua umanità, e l'umanità stessa è superiore ai sacramenti della sua umanità, i peccati più gravi sono quelli che vengono commessi direttamente contro la divinità, come i peccati di incredulità e di bestemmia. Al secondo posto per gravità si trovano invece i peccati commessi contro l'umanità di Cristo, per cui si legge [Mt 12, 32]: “A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro”. Al terzo posto infine si trovano i peccati che vengono commessi contro i sacramenti, i quali si ricollegano all'umanità di Cristo. E dopo di questi vengono gli altri peccati contro le semplici creature.

Per le circostanze poi un peccato è più grave di un altro in rapporto al soggetto che lo commette: un peccato di ignoranza o di debolezza, per esempio, è più leggero di un peccato fatto per disprezzo o con piena consapevolezza, e così si dica delle altre circostanze. E sotto questo secondo aspetto il peccato di cui parliamo in alcuni può essere più grave, come in coloro che si accostano a questo sacramento con la coscienza di un peccato per attuale disprezzo, in altri invece meno grave, come in coloro che ricevono questo sacramento con la coscienza di un peccato per paura di essere scoperti. Così dunque è evidente che questo peccato è per natura sua più grave di molti altri peccati, ma non è il più grave di tutti».
   
D. Supponiamo che uno sia in peccato mortale e desideri ricevere la comunione. Non potrebbe pentirsi, fare la comunione e confessarsi dopo?

R. No, ciò è esplicitamente escluso dalla disciplina della Chiesa, come afferma il Concilio di Trento e ribadisce il Diritto Canonico (can. 916). Solo in casi di stretta necessità (assai rari, per la verità) e nell'impossibilità di confessarsi ci si potrebbe comunicare dopo avere premesso un atto di dolore perfetto (o contrizione), cioè un atto di dolore fondato su motivi disinteressati di amore verso Dio, con il proposito di confessarsi poi al più presto. Ma purtroppo oggi si abusa troppo facilmente di questa facoltà. «Sentivo il desiderio di fare la comunione…», dice qualcuno. Ma bisogna vedere se questo desiderio si incontra con la volontà di Dio! Se Dio ha disposto certe norme, come si può entrare in "comunione" con Lui trasgredendole? Se c'è questo desiderio e non c'è il confessore, si fa la cosiddetta "comunione spirituale" (cioè senza ricevere il sacramento), col "desiderio" (questo sì) di confessarsi al più presto e fare poi la comunione sacramentale.

D. La Chiesa prescrive delle norme che riguardano il digiuno; quali sono esattamente?

R. Le norme attuali sono molto tolleranti e concilianti. Basta essere digiuni da un'ora prima della comunione. Le medicine e l'acqua non rompono il digiuno. Si aggiunga poi che dalla stretta osservanza del digiuno sono dispensati coloro che hanno compiuto i 59 annidi età, come pure coloro che soffrono di qualche malessere. Così pure sono dispensati i sacerdoti che celebrano una seconda o una terza Messa. Che differenza fra queste norme e il rigorosissimo digiuno dalla mezzanotte che è stato in vigore per tanti secoli! […]