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Santificare la domenica e le feste, antidoto «contro la schiavitù umana»
NEWS 3 Marzo 2021    di Giulia Tanel

Santificare la domenica e le feste, antidoto «contro la schiavitù umana»

Un tempo era consuetudine diffusa: la domenica non si lavorava, era un giorno di festa e letizia da dedicare al Signore, alle opere di carità e al riposo. Tanto che non era un puro ozio da studiosi di morale quello di domandarsi, in coscienza, se fosse lecito impegnarsi in una data occupazione cosiddetta “servile”. Oggigiorno, è evidente, siamo ben lontani da questa situazione: vuoi perché si è perso, a livello generale, un basilare sentire religioso; vuoi perché vi è un’ignoranza diffusa in materia anche tra gli stessi fedeli, in parte dovuta al fatto che (anche) questa tematica è scomparsa dalle prediche dei sacerdoti; vuoi perché oramai la società si muove in una direzione diametralmente opposta, soprattutto in relazione alla continua ricerca di una performance economica che non conosce pause e che spesso fondamentalmente obbliga anche le persone di fede a far parte di questo ingranaggio, pena la perdita del lavoro o altri gravi incomodi.

Ebbene, in questo contesto, arriva chiaro il monito del vescovo di St. Pölten, in Austria, Alois Schwarz (foto a lato), portavoce dell’“Alliance for Free Sunday”: «La domenica», ha affermato in un’intervista al Tagespost, «è la protesta contro la schiavitù umana e lo sfruttamento del creato». E ha quindi proseguito: «La domenica è un dono del cielo» ed è anche «un dono del cristianesimo al mondo». Infatti, secondo Schwarz la prospettiva comune andrebbe ribaltata: i cristiani sono chiamati a essere nel mondo non in maniera passiva, subendo le tendenze contemporanee, bensì in maniera attiva, non rinunciando a dare il proprio contributo allineato con una visione di fede: piccoli segni, forse, ma che non vanno trascurati. Anche perché i precetti ecclesiastici non sono “contro” l’uomo, bensì a suo favore, in senso sia fisico, sia spirituale; tanto che, prosegue il prelato, il ritmo lavoro-riposo è «profondamente inscritto nel nostro cuore e nella nostra cultura».

DOMENICA, GIORNO DEL SIGNORE

L’altra faccia della medaglia di questo discorso del “santificare le feste” è che, come atto esterno, i fedeli sono chiamati ad assistere alla Santa Messa. Recita in merito il Catechismo della Chiesa cattolica: «La Chiesa fa obbligo ai fedeli di partecipare alla Santa Messa ogni domenica e nelle feste di precetto, e raccomanda di parteciparvi anche negli altri giorni» (n. 289).

Al giorno d’oggi, in Italia, la frequenza media alla Messa domenicale si attesta tra il 10 e il 20%, laddove la cifra maggiore si registra nelle regioni del meridione e tra una fascia di popolazione d’età medio-alta. E, in tutto questo, la pandemia da Covid non ha aiutato: tra le limitazioni rispetto al numero di persone che possono entrare in chiesa, un po’ di timore da parte delle persone più anziane e cagionevoli, la poca chiarezza nel comunicare la dispensa ad assolvere al precetto domenicale per via del coronavirus, o ancora per il messaggio erroneamente passato tra i più per cui seguire la Messa via web sarebbe uguale che assistervi in presenza, se non addirittura preferibile non quanto più prudente… la frequenza alle funzioni festive è calata ancora.

Di fronte a questo status quo, sulle colonne del Crisis Magazine Thomas Griffin firma un pezzo in cui invoca chiarezza rispetto all’obbligo dei fedeli di partecipare fisicamente alla Santa Messa domenicale, sostenendo che è «assolutamente fondamentale che la Chiesa affermi con esattezza qual è l’obbligo verso il culto in questi tempi senza precedenti, che sta diventando sempre più sicuro nonostante COVID-19, perché il virtuale non è lo stesso che essere presenti fisicamente».


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