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Si diventa santi anche con la sla, come p. Aloysius Schwartz missionario in Corea. Altro che eutanasia
NEWS 19 Febbraio 2015    

Si diventa santi anche con la sla, come p. Aloysius Schwartz missionario in Corea. Altro che eutanasia

di Giorgio Bernardelli

 

È una malattia che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni, scossi soprattutto dal grido di dolore di tante famiglie. La Sla – la Sclerosi laterale amniotrofica – è diventata oggi il simbolo per eccellenza della fatica della vita nella sofferenza fisica. Anche per questo – in occasione della Giornata mondiale del malato, che la Chiesa celebra l'11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes – è interessante segnalare come tra i decreti sulle virtù eroiche firmati recentemente da papa Francesco ce ne sia anche uno che riguarda un malato di Sla.

Dallo scorso 23 gennaio – infatti – la Chiesa ha riconosciuto il titolo di venerabile, il passo intermedio verso la beatificazione, a padre Aloysius Schwartz, un sacerdote americano che negli ultimi anni tre anni della sua vita sperimentò personalmente tutto il Calvario che la Sla comporta. E lo descrisse anche in un libro intitolato significativamente «Killing Me Softly», («Uccidendomi lentamente»). Nato a Washington nel 1930, Aloysius Schwartz era un missionario che nel 1957 iniziò il suo ministero nella diocesi di Busan, in Corea: qui diventò presto l'amico degli orfani e dei poveri, che la guerra nel Paese aveva lasciato dietro di sé. Per loro fondò case, dispensari, scuole e anche un ordine di suore – le Sisters of Mary – che ancora oggi seguendone le orme si prendono cura degli ultimi. Nel 1970, sempre a Busan, aprì addirittura un ospedale da 120 posti letto riservato esclusivamente ai poveri, che venivano curati gratis. La fama della sua opera varcò però presto i confini della Corea: il cardinale Sin nel 1981 lo chiamò a Manila e anche qui padre Schwartz avviò progetti importanti per i ragazzi di strada e un programma per i malati di tubercolosi.

Finché non capitò a lui di ritrovarsi all'improvviso dall'altra parte: quella di chi deve dipendere totalmente dalle cure degli altri. Nel luglio 1989 cominciò ad avvertire i primi spasmi, tre mesi dopo gli fu diagnosticata la Sla. Molto in fretta cominciarono a manifestarsi i sintomi più gravi fino a costringerlo sulla sedia a rotelle. «Ora ho pochissimo controllo dell'ambiente che mi circonda – scriveva -. Ho perso completamente la mia indipendenza e quanto pensiamo sia la nostra dignità. Tuttavia non lo trovo devastante. Penso a Gesù, il Signore e Maestro, che aveva ogni potere in cielo e in terra e si è degnato di farsi bambino. Si è affidato totalmente alla Vergine di Nazareth».

Non per questo padre Aloysius – che morì poi a Manila il 16 marzo 1992 – rinunciò a interrogarsi su quella sua condizione. «Alcuni malati di Sla collegati a macchinari salvavita sono considerati degli eroi – rifletteva ad alta voce -. Vengono additati come modello di coraggio, determinazione e di voglia di vivere. Questo è un punto di vista. Ma un'argomentazione altrettanto forte vale per l'opposto. Si può sostenere che sia coraggioso, eroico e nobile anche accettare la morte con calma, dignità e serenità. Tuttavia – aggiungeva Schwartz – le persone a me più vicine, e precisamente le Sisters of Mary, sembrano tutte avvertire con forza che dovrei aggrapparmi alla vita per quanto possibile, anche se potessi farlo solo con le unghie dei miei mignoli. A volte mi fanno pensare che scegliere un altro atteggiamento potrebbe essere interpretato come un comportamento codardo».

Un dilemma che più di vent'anni dopo resta attualissimo. E al quale il sacerdote malato di Sla avviato verso gli altari dava una risposta da uomo di fede: «Il cuore della questione – concludeva – non è ciò che voglio io, ciò che vogliono le suore o che cosa voglia chiunque altro. La domanda vera è: che cosa vuole il Signore? Ed è in questo Spirito che San Paolo scriveva: se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore».