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Siria, i leader cristiani ora chiedono la fine delle sanzioni
NEWS 9 Febbraio 2023    di Federica Di Vito

Siria, i leader cristiani ora chiedono la fine delle sanzioni

Una tragedia nella tragedia, è quello che sta vivendo il popolo siriano. A infierire sulle conseguenze devastanti del terremoto ci sono le sanzioni contro la Siria. «Ci stanno aiutando molto. Mi arrivano proposte di aiuto, farmaci, cibo, medici che vorrebbero venire dall’Europa. Ma è impossibile farle arrivare per via delle sanzioni che colpiscono il nostro paese. L’assurdità della guerra che non si ferma neanche davanti a questa tragedia. Una tragedia nella tragedia», queste le parole di testimonianza su L’Osservatorio Romano di fra Bahjat Karakach, guardiano del convento francescano di Aleppo, che è parte della Custodia di Terra Santa.

Gli Stati Uniti hanno imposto diverse sanzioni al governo siriano dal 2011, citando violazioni dei diritti umani ampiamente documentate, perpetrate dal presidente Bashar Al-Assad contro il suo stesso popolo. L’ultima lista di sanzioni, entrata in vigore nel 2020, nota come Caesar Act,si pone l’obiettivo di «costringere il governo di Bashar al-Assad a fermare i suoi attacchi omicidi contro il popolo siriano e a sostenere una transizione verso un governo in Siria che rispetti lo stato di diritto, i diritti umani e la coesistenza pacifica con i suoi vicini». A imporre sanzioni simili si sono aggiunti diversi paesi dell’Unione europea. Sebbene il Caesar Act esuli gli aiuti umanitari dalle sanzioni, gli operatori umanitari hanno affermato che gli aiuti vengono spesso ostacolati a causa dell’effetto «over-compliance». «Numerose organizzazioni internazionali e locali hanno espresso serie preoccupazioni per gli alti costi delle operazioni, anche a causa dell’aumento dei prezzi del carburante indotto dalle sanzioni e delle sfide alle transazioni finanziarie, agli appalti e alla consegna di beni e servizi», ha riferito alle Nazioni Unite Alena Douhan, professoressa bielorussa di diritto internazionale.

Le banche straniere sarebbero spesso riluttanti a elaborare i pagamenti destinati alla Siria, in particolare a seguito della crisi bancaria del Libano e degli effetti che avuto sull’economia in Siria. Restrizioni e ritardi nell’elaborazione dei pagamenti con i fornitori, che possono richiedere perfino mesi, portano a un mercato ristretto e meno competitivo, all’aumento dei costi e all’impossibilità di ottenere aiuti umanitari in tempi immediati.

Intanto martedì tre importanti leader cristiani in Siria hanno emesso una lettera congiunta chiedendo la fine delle sanzioni, che secondo loro stanno ingiustamente impedendo agli aiuti di raggiungere le persone più colpite dal terremoto. La lettera del 7 febbraio è stata firmata dal patriarca greco-cattolico melchita Youssef I, dal patriarca siriano ortodosso Ignazio Aphrem II e dal patriarca greco-ortodosso Giovanni X. «Questo disastro naturale si aggiunge al calvario del popolo siriano, che continua a soffrire delle tragedie della guerra, delle crisi, dei disastri, delle epidemie e delle dure difficoltà economiche derivanti dall’inflazione, dall’assenza di materiali indispensabili, farmaci e necessità di base quotidiane necessarie affinché le persone sopravvivano e vivano con dignità», hanno scritto i leader, «noi, i tre patriarchi con i capi delle chiese in Siria, chiediamo alle Nazioni unite e ai Paesi che impongono sanzioni alla Siria di revocare l’embargo e le sanzioni ingiuste imposte al popolo siriano e di adottare misure eccezionali e iniziative immediate per garantire la consegna dei tanto necessari aiuti umanitari».

Di recente, anche il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente (Cec) ha chiesto la fine delle sanzioni contro la Siria. «Esortiamo la revoca immediata delle sanzioni sulla Siria e per consentire l’accesso a tutti i materiali, in modo che le sanzioni non possano trasformarsi in un crimine contro l’umanità», hanno scritto i leader religiosi in una dichiarazione del 6 febbraio. Hanno poi ricordato che tutte le Chiese in Medio Oriente «hanno messo le loro risorse a disposizione delle persone colpite e sfollate a causa del terremoto, fin dai primi momenti del disastro, nonostante le loro risorse limitate a causa del blocco. […] Le Chiese sostengono sempre il loro popolo e non risparmieranno sforzi nel fare tutto il possibile per alleviare il loro dolore e condurli verso la prosperità e il progresso».

Secondo le ultime stime disponibili risalenti a mezzogiorno di mercoledì del New York Times, il terremoto ha causato almeno 11.600 morti in Turchia e Siria. Nella provincia siriana di Idlib, che confina con la Turchia, circa 4,1 milioni di persone hanno richiesto assistenza umanitaria anche prima del terremoto di febbraio, secondo le Nazioni unite. Il 90% della popolazione siriana, messo in ginocchio da 12 anni di guerra, viveva al di sotto della soglia di povertà anche prima del terremoto, con accesso limitato a cibo, acqua, elettricità, riparo, carburante per cucinare e riscaldamento, trasporti e assistenza sanitaria.

Stando a quanto riferito dal Washington Post, l’assistenza a quella regione trova ostacolo nelle restrizioni imposte dal governo siriano, che impedisce ad alcune organizzazioni internazionali di accedere all’area. Inoltre, c’è solo un valico di frontiera aperto alla regione dalla Turchia, il che causa un intasamento per l’arrivo degli aiuti. Molti Paesi e città con una significativa popolazione cristiana in Siria, come Aleppo, Homs, Lattakia e Hama, hanno subito gravi danni. Ad Aleppo, diversi siti del patrimonio mondiale dell’Unesco sono stati danneggiati. Molte agenzie umanitarie cattoliche internazionali, come la Caritas, i Catholic Relief Services e Aid to the Church in Need (Acn) stanno sollecitando donazioni, mobilitando risorse e coordinando gli sforzi di soccorso. (Fonte) (Fonte foto: Imagoeconomica)

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